Leopoldo Destro, neo-presidente Assindustria Venetocentro: «Aziende e associazioni dovranno cambiare: nulla sarà più come prima»

Domenica 15 Novembre 2020 di Ario Gervasutti
Leopoldo Destro

Mettiamo subito le cose in chiaro: lei tifa per Crisanti o per Palù? «Tifo per l'Italia». Leopoldo Destro, 47 anni, da pochi giorni è il presidente di Assindustria Venetocentro.
Ma non può sottrarsi, presidente. È il gioco del momento: una volta c'erano Coppi e Bartali, adesso ci sono i virologi...
«Sto col buon senso e con l'ottimismo, con chi propone misure efficaci e realizzabili».
Gli industriali si sono sempre opposti a limitazioni, chiusure e lockdown: non sarebbe stato preferibile un blocco totale, immediato e breve, piuttosto che tirare in lungo come stiamo facendo adesso?
«Forse si. Ma se ci fossero regole precise: tamponi rigorosi e in numero massiccio come in Germania, zone rosse circoscritte e mirate, senza paralizzare tutto il Paese, e indennizzi contestuali immediati».
A che cosa serve oggi Confindustria?
«In questo periodo di crisi epocale, per esempio, l'ottimo lavoro delle strutture di Venetocentro guidate dal direttore generale Giuseppe Milan hanno garantito risposte immediate dando a tutti gli associati una sicurezza per far fronte all'emergenza. Hanno dato un supporto fondamentale al rispetto delle regole, all'attuazione dei Dpcm, a trovare le soluzioni per continuare a lavorare, a esportare. Ma al di là della crisi, i corpi intermedi devono offrire una visione del Paese, nel nostro caso un piano industriale per l'Italia e per il territorio. Dobbiamo avere una visione a medio e lungo termine».
Ma in alcuni casi la qualità espressa non si è dimostrata delle migliori: ci sono associazioni che hanno perso centinaia di iscritti...
«Se nelle aziende sviluppiamo piani di cambiamento, è obbligatorio farlo anche nel mondo delle associazioni. Va tolta polvere e modi vecchi di lavorare».
Che rapporti ha con Enrico Carraro, presidente della Confindustria regionale Veneta?
«Ottimi. Sono momenti in cui dobbiamo essere uniti e lavorare in squadra. C'è un filo diretto quasi quotidiano. Altrettanto deve esserci con il presidente nazionale Bonomi e con le altre territoriali».
Non teme che una confindustria sovraprovinciale come Venetocentro e una regionale finiscano per diventare doppioni?
«L'aggregazione va vista come sinergia tra le territoriali. La regionale fa strategie e visioni; noi svolgiamo i compiti di una territoriale, solo molto più grande».
Cosa vuole ottenere con la sua presidenza?
«Vorrei lavorare in appoggio quotidiano alle aziende, ma anche iniziare a creare una visione del domani per le imprese. Nulla sarà come prima: dobbiamo guidarle nel cambiamento».
In che cosa cambieranno?
«In quattro direttrici fondamentali: innovazione, digitalizzazione, ambiente e sostenibilità».
Ad esempio?
«Prendiamo la digitalizzazione. Il mondo industriale dovrà essere inclusivo e trasversale, non più solo manifatturiero fine a se stesso; deve aprirsi ai servizi, all'innovazione, all'università, ai centri tecnologi. Devono diventare un polo dell'innovazione per attrarre talenti. Ma non limitato al mondo aziendale: dobbiamo lavorare insieme a Università, Competence center, parco Galileo, eccetera. Tra Padova e Treviso deve nascere un polo attrattivo per le persone e faccia crescere le piccole e medie aziende».
Ha parlato di rischio di analfabetismo digitale nelle imprese. Si riferiva ai lavoratori o alle aziende?
«Per far crescere le imprese hai bisogno del capitale umano. È la vera, grande infrastruttura del nostro territorio. Abbiamo una scuola eccezionale, bisogna migliorare il rapporto con le aziende, serve più osmosi; dobbiamo essere preparati sia come aziende che come persone alla massiccia digitalizzazione. Dobbiamo formare sia le vecchie che le nuove generazioni».
Ambiente e sostenibilità: modello Grata Turnberg?
«Non dobbiamo limitarci allo scontato rispetto delle norme: si tratta di una crescita qualitativa e di competitiva, possiamo diversificarci rispetto ai concorrenti stranieri. Il 60% del Recovery fund da 209 miliardi sarà dedicato a queste sviluppo: un mondo da sfruttare, in senso positivo. I soldi che arriveranno saranno debiti: non potremo certo sprecarli. Bisognerà essere efficienti come un'azienda, dovranno generare utili».
Che cosa manca alle aziende venete?
«Devono aprirsi di più, uscire dalle quattro mura. Alla formazione e al mondo del capitale. Per crescere c'è bisogno di guardare al capitale esterno, non solo alle banche. Aggregazioni, dimensioni più grandi, capitali dai private equity».
Che cos'hanno in più, invece?
«Hanno una resilienza eccezionale, e capacità innovative fuori dal comune».
Perché Confindustria insiste a contestare il blocco dei licenziamenti in una fase come questa?
«Siamo d'accordo con la proroga con la continuità della cassa integrazione. Ma stiamo vivendo sotto un analgesico: rischia di nascondere la malattia. Non può essere un blocco eterno perché impedisce alle aziende di riorganizzarsi e le rende più deboli di fronte alla auspicata ripartenza».
Bonomi ha proposto a Landini un patto per l'Italia per trovare insieme soluzioni. Landini gli ha risposto: Più che patti, dovete firmare i contratti.
«Le due cose vanno a braccetto. Molti contratti sono stati firmati, basta trovare il giusto equilibrio». 
Che cosa pensa del governatore veneto Luca Zaia?
«Il giudizio lo hanno dato da poco gli elettori, mi pare, ed è positivo. Io sono d'accordo: mi colpisce in particolare l'abnegazione e il sacrificio personale. Parla chiaro: è una cosa importante».
Il Veneto soffre ancora di carenze infrastrutturali?
«Negli ultimi anni si è fatto molto, ma ne servono altre sia materiali che immateriali. Dobbiamo avere una rete digitale all'altezza: dobbiamo essere veloci».
Che giudizio dà del governo Conte?
«Si sono trovati di fronte a una cosa immane come la pandemia, ma serviva capacità organizzativa e chiarezza maggiore, e una visione del domani che manca del tutto. Magari sarebbe servito un maggiore coinvolgimento delle parti sociali, come ha sempre detto Confindustria. Rincorriamo l'emergenza».
E dell'opposizione?
«Anche per loro è un lavoro complesso. Sarebbero opportuni minori slogan e più costruttività».
Con la Cina i rapporti devono essere duri o morbidi?
«Una linea trumpiana credo non porti a nulla. Forse meglio
la linea tedesca. È urgente estrema chiarezza: non possiamo soggiacere alle regole e ai voleri cinesi».
E con l'Europa, intesa come istituzioni?
«Va rafforzato il ruolo del nostro Paese. La maggior parte delle norme ora passa dalle istituzioni europee, è folle non essere presenti ai tavoli di negoziazione e regia. Anche il sistema imprenditoriale deve essere più presente in Europa come interlocutore diretto».
Ma insomma, meglio Crisanti o Palù?
«Vabbè, Palù».
Ario Gervasutti
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Ultimo aggiornamento: 27 Aprile, 17:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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