TREVISO - «Se è un esperimento politico, che resti pure confinato in Sicilia. Ma se qualcuno pensa di utilizzarlo anche a livello nazionale, dico di no. Che nessuno tocchi il nostro Alberto da Giussano: per noi è irrinunciabile». Gianantonio Da Re, eurodeputato della Lega e già ex segretario veneto e trevigiano, come sempre non le manda a dire. Il simbolo del movimento politico Prima l'Italia depositato per le amministrative siciliane da Matteo Salvini, ha scatenato un vero putiferio in Veneto e a Treviso, dove i militanti di lungo corso, e anche i nuovi a dire il vero, si sono sentiti traditi. Primo tra tutti Da Re, pronto a fermare quello che sembra un nuovo partito dove far confluire il centrodestra, Lega compresa. «La Sicilia sarà anche un laboratorio politico, ma stiamo attenti. Sento parlare di fusione tra Lega e Forza Italia. Ricordo a tutti che in politica tre più tre non fa mai sei, ma quasi sempre due e mezzo». E poi respinge al mittente la spiegazione che quel simbolo tanto discusso non è una novità di oggi: «Ma non è così! È stato depositato di recente da Calderoli».
IL PRECEDENTE
L'eurodeputato, su cui pende già da mesi la minaccia di un provvedimento disciplinare sempre per le critiche rivolte a Salvini, evoca anche antichi fantasmi: «Quando Tosi, da segretario nazionale della Lega, fondò il suo movimento, Il Faro, si andò a schiantare. Il simbolo della Lega non va toccato.
MAL DI PANCIA
Da Re dà voce a un malcontento che serpeggia nella Marca. Da quando l'effigie di Prima l'Italia si è diffusa, le voci contrarie si sono moltiplicate. La roccaforte leghista, dove è più forte lo scontro con i salviniani, ribolle di rabbia. Lo ha toccato con man anche Gianangelo Bof, commissario provinciale trevigiano a cui, come al solito, tocca l'ingrato compito di tenere tutti buoni: «Molti militanti mi stanno contattando e scrivendo - ammette - c'è del fermento e tanto sconcerto. Ho parlato con i vertici regionali e mi hanno garantito che è una storia gonfiata, che quel simbolo c'era già e che per la Lega non cambia assolutamente niente». Sarà, ma nella Marca in tanti stanno mettendo in fila vari episodi: la legge e i finanziamenti per Roma capitale, la frenata sul fronte dell'autonomia e adesso il simbolo del nuovo movimento politico depositato dai vertici leghisti. E non si fidano. «I nostri sono un po' disorientati», ammette Bof. E cresce la voglia di un vero congresso. Quelli di sezione sono già in corso, per l'autunno è annunciato quello provinciale. E lì sarà il momento della resa dei conti tra chi vuole la difesa dei valori leghisti - «Le questioni del Nord sono uscite da tutti i nostri ragionamenti», osserva un big - e chi sposa la linea di Salvini più orientata verso un partito nazionale. Ma il traguardo è ancora lontano. E il braccio di ferro sul simbolo rischia di provocare spaccature insanabili.