Da ballerina a imprenditrice, Francesca Ammaturo e la sua Label Rose. «Ho mollato tutto da un giorno all'altro. Il primo mese? Neanche i soldi per comprare le scatole»

Lunedì 10 Ottobre 2022 di Edoardo Pittalis
Da ballerina a imprenditrice, Francesca Ammaturo e la sua Label Rose - foto dal sito labelrose.it
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Francesca Ammaturo, 27 anni, aveva un futuro nella danza classica. Ha mollato il palcoscenico per aprire un’impresa nel trevigiano puntando sull’e-commerce. Ora la sua “Label Rose” fattura tre milioni.

Ed è oggetto di studio all’Università.

Da ballerina a imprenditrice

Quando Francesca racconta la sua storia nelle aule universitarie, molte studentesse la ringraziano perché insegna a non scappare davanti alle difficoltà. Perché si è trasformata da ballerina in imprenditrice ed è cresciuta in fretta. Perché non molla mai e paga tutti i suoi debiti e a 27 anni ha un'azienda nel Trevigiano, quasi tutta al femminile, che vende borse e accessori online con un'etichetta propria e fattura tre milioni di euro. Perché poteva essere la solista del Lago dei Cigni e ha lasciato a un passo dalla prima in un grande teatro europeo. Perché un furgone le ha investito il padre che stava passeggiando alle porte di Treviso e l'uomo è morto dopo cinque mesi di coma. «Lui era la mia ombra, facevamo tutto assieme».

Francesca Ammaturo, campana di Sarno, parla quattro lingue, una laurea in management delle imprese, la sua azienda è alla periferia di Istrana, uffici e capannone bianco e verde. Ci lavorano tredici donne. Commercializza borse e accessori col marchio Label Rose. Tutto venduto soltanto via e-commerce. Con un unico prodotto, la borsetta Paige, in un giorno solo ha incassato 50 mila euro, mille pezzi. Ha appena aperto un secondo sito-vendite in Inghilterra. Con la danza ha smesso: «Niente più, non vado neanche a ballare. Meglio un vecchio film, sono romantica».


Ma da piccola voleva fare la danzatrice o la stilista?
«Fin da bambina il mio sogno era diventare una stilista, mi piaceva tutto quello che era moda. A sei anni giocavo con i primi programmi grafici dell'azienda di abbigliamento dei miei genitori. Poi la loro piccola fabbrica ha dovuto chiudere e ho vissuto l'intera vicenda anche in maniera particolare, ho visto le difficoltà di un genitore a fronteggiare situazioni difficili anche sotto il profilo psicologico. Nel frattempo mi ero appassionata alla danza. Sono sempre stata una bambina testarda, tenace, se volevo raggiungere qualcosa ci arrivavo. Ho vinto vari premi e a 15 anni una borsa di studio dell'Accademia Nazionale di Danza a Roma. Così mi sono trasferita nella Capitale e un anno dopo ero alle prese con un'audizione per uscire dall'Italia».


Aveva davanti una carriera da ballerina classica?
«A 16 anni sono stata selezionata dall'Accademia di Dresda, una sorta di università nel settore, un punto d'arrivo. Così sono partita per la Germania e, grazie ai fondi tedeschi, per tre anni ho potuto perfezionarmi tra ragazzi che venivano da tutto il mondo. Ho fatto stage all'interno di grandi compagnie di Amsterdam e Londra. A 19 anni mi sono trasferita nella Repubblica Ceca, nella compagnia di Divadlo in Moravia. Ero semisolista, potevo e dovevo diventare la prima ballerina. Ma non ero pienamente felice della mia vita e ho messo sul piatto della bilancia le cose che pesavano: ero fuori di casa da anni, non avevo concluso i miei studi e avvertivo lacune culturali. Quando sei una ballerina tutto gira esclusivamente attorno alla danza che è un mondo tanto complesso sotto il profilo psicologico, ogni giorno devi fare i conti col tuo corpo, devi inseguire una perfezione che in realtà non esiste. Puoi anche sentirti un burattino, interrompono le prove del Lago dei cigni solo per correggere di un millimetro la posizione della tua testa!».


Ho lasciato tutto da un giorno all'altro. Se non ero più disposta a sacrificarmi per le ambizioni, voleva dire che quella vita non la volevo pienamente

«E che volevo qualcosa di più stabile e non cambiare ogni anno compagnia e amici. Tornare in Italia, però, significava abbandonare la mia indipendenza. Sono sempre stata una bambina super ambiziosa e super determinata, due caratteristiche che fin dall'infanzia mi hanno reso diversa dagli altri bambini. Mi circondavo di persone più grandi per imparare. Nell'azienda di mio padre, fin da piccola, mi piaceva immaginare di creare un prodotto completo: c'è una mia foto a otto anni mentre leggo un piano aziendale!».


Ma restava il fatto dell'indipendenza
«Ho sempre lavorato anche per non pesare troppo sulla famiglia: a Dresda il sabato e la domenica facevo la cameriera in un ristorante italiano. Adesso dovevo fare qualcosa di diverso, parlo quattro lingue bene, sognavo un business proprio. Mio padre Donato commercializzava borse in un negozio a Napoli e frequentavo ragazze che esibivano borse costose come se fossero il simbolo dello stato sociale e questo mi sembrava assurdo. Pensavo che si potessero vendere borse belle ma accessibili, ma non esisteva una via di mezzo e nemmeno una buona informazione per l'acquisto: non c'era ancora la possibilità di confrontare in web prezzi e prodotti. Decido di trasformare il negozio di mio padre in qualcosa di più adatto a quello che pensavo, creo un brand mio e scelgo come nome Label Rose, etichetta rosa, anche la fodera delle nostre borse è rosa».


Tutto così semplice?
«Il percorso è stato lungo, non era una strada facile, costi alti, filiera di produzione all'estero: immaginate una ragazzina che prende i voli intercontinentali per cercare le fabbriche adatte e scegliere i materiali. Andavo in Cina sei volte l'anno»

In Italia i problemi erano i soliti. In banca mi hanno riso dietro, non hanno creduto nel progetto di una ventenne

«Invece, dalla Cina è arrivata una produzione col mio marchio, con scelta di colori e modelli in maniera autonoma. Abbiamo incominciato a creare una catena di punti vendita col marchio Label Rose, quasi tutti in franchising; questo comportava un'esposizione finanziaria notevole perché pagavi la merce in anticipo ma incassavi con ritardo e in mezzo ci si è messo pure il Covid. Nel frattempo non mi sono fermata, lavorando e studiando la sera mi sono prima diplomata al liceo artistico e poi mi sono iscritta all'università laureandomi in management delle imprese internazionali. Con un amarissimo 109!».


Finalmente soddisfatta?
«Me lo chiedo sempre quando mi chiamano nelle università per raccontare l'esperienza da imprenditrice. Dico che per me la laurea è stata il modo per imparare a capire come far funzionare la tua azienda senza sentirmi stupida davanti a un tecnico. Non ci si improvvisa imprenditrice. Me ne sono accorta subito a mie spese: non sapevo spiegare alla gente perché devono comprare da me. È stato mio padre a trascinarmi a un master di marketing: dovevo far sapere che quella borsa era di una ragazza che aveva una storia e che dietro c'era un'impresa. Dovevo imparare in fretta, forte anche del fatto che o cambiavo o chiudevo. La pandemia ha accelerato i processi, mi sono ritrovata con i magazzini pieni e i negozi chiusi, con me lavora l'intera famiglia, dovevo vendere per forza. Così ho profittato del lockdown per studiare la comunicazione, il marketing, soprattutto l'e-commerce. Lavoro anche sui social con la costanza che mi ha sempre accompagnato: da danzatrice mi alleno ogni giorno, mangio in maniera corretta, faccio riunioni, mi confronto. Sapevo che tutto stava nel trovare i primi clienti. Ho digitalizzato la mia azienda da sola, non potevo permettermi di spendere; ho spedito le prime borse online»

Il primo mese ho guadagnato 5 mila euro. Non avevamo nemmeno i soldi per acquistare le scatole, raccoglievamo i cartoni fuori dagli altri negozi e con quelle facevamo i pacchi per le spedizioni


Come siete arrivati in Veneto?
«Ci siamo trasferiti da Napoli a Treviso nell'agosto del 2020. Forse mio padre si sentiva di non avere tanto tempo davanti perché aveva fretta di riunire la famiglia. Mia sorella maggiore Rossella è sposata con un veneto e vive qui. Istrana è casa e fabbrica. Siamo arrivati a Treviso e l'e-commerce ha preso subito a funzionare e a crescere rapidamente. Purtroppo c'è stata la morte di papà a 55 anni. La tragedia mi ha fatto crescere ancora più in fretta, era la mia ombra, ma quell'ombra non si è mai allontanata da me».

Ultimo aggiornamento: 11 Ottobre, 10:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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