Omicidio a Maserada. La mamma dell'assassino 18enne: «Elia non è un mostro, chiedo perdono per lui»

Sabato 13 Maggio 2023 di Maria Elena Pattaro
Omicidio a Maserada. La mamma del killer 18enne: «Elia non è un mostro, chiedo scusa anche per lui»

MASERADA SUL PIAVE (TREVISO) - «L’ho ucciso io, sono sconvolto». Elia Fiorindi, 18 anni di Treviso, ha abbracciato la mamma con le stesse mani con cui poche ore prima aveva affondato il coltello nel corpo di Aymen Adda Benameur, 17enne di origini algerine, ferendolo a morte. Per qualche dose di hashish. Due colpi: uno al ventre e uno al costato, risultato fatale. «Ma non descrivetelo come un mostro: non ha mai dato problemi. Chiedo perdono alla famiglia della vittima, anche a nome suo» dice la donna, ancora scossa, dopo l’incontro in caserma. L’assassino era stato fermato dai carabinieri giovedì pomeriggio, poco dopo l’omicidio, insieme ai due amici con cui aveva raggiunto in bus Varago, frazione di Maserada. Dopo il delitto si sono rifugiati prima nella gelateria Cremò, poi sotto la tettoia dell’hotel Dotto. Sconvolti. Mentre la vittima era a terra, agonizzante, in via 1° maggio. Fiorindi ha confessato il delitto rendendo spontanee dichiarazioni ai carabinieri e al pm di turno, Davide Romanelli. «Sì, sono stato io. I miei amici non c’entrano nulla. Avevamo litigato per la droga» ha spiegato il ragazzo, che con sé aveva dell’hashish. Ora è rinchiuso nel carcere di Santa Bona per omicidio volontario. Un’accusa pesantissima: soltanto in queste ore il 18enne, difeso dall’avvocato Luigi Torrisi, sta iniziando a rendersi conto della portata e della gravità di quello che ha fatto. Lunedì ci sarà l’interrogatorio di garanzia. Mamma Veruska lo ha incontrato in caserma la scorsa notte. «Mi ha abbracciata - racconta la donna, ancora stordita e sconvolta -. Era dispiaciuto. Come potrebbe non esserlo? Ha accoltellato a morte un ragazzo di 17 anni che aveva tutta la vita davanti. E così ha rovinato anche la sua. Continuo a chiedermi perché lo abbia fatto e non so darmi una risposta.

Chiedo perdono per mio figlio».


VITA AI MARGINI
Elia vive a Monigo, in una delle fatiscenti palazzine Ater affacciate sulla Feltrina, a pochi passi dallo stadio di rugby insieme alla madre, due fratelli (uno più grande e uno più piccolo) e ai suoi pit bull. La famiglia si era trasferita lì parecchi anni fa, in emergenza abitativa, ma ora risultano occupanti senza titolo. In una parola: abusivi. Per questo a breve dovranno andarsene. «Siamo gli ultimi rimasti» dice Veruska indicando la catasta di mobili e oggetti vari, comprese bombole del gas e un materasso a brandelli, ammassati sul pianerottolo: «Stiamo per traslocare». Una famiglia ai margini, che vive in una situazione di degrado. Fino a un paio di settimane fa il 18enne lavorava in una pizzeria di Treviso. Poi ha lasciato quell’occupazione a quanto pare perché non era regolare. La scuola l’aveva abbandonata da un pezzo: finita la terza media si era iscritto all’istituto agrario ma poi aveva interrotto gli studi. Incensurato fino all’arresto di giovedì pomeriggio. «Non mi ha mai dato problemi - ribadisce la madre -. In casa mi dava una mano. E quando io non c’ero era lui il punto di riferimento per i fratelli». Quando le si chiede se figlio avesse problemi di droga o si fosse ficcato in giri di spaccio, Veruska scuote la testa. Ieri (giovedì per chi legge, ndr) sono tornata dal lavoro alle 4.30 del pomeriggio e lui non c’era - racconta -. Poi mi hanno detto che era stato arrestato. Devo ancora metabolizzare. 


IL PROFILO
Su Instagram, oltre alle foto con la fidanzata e a quelle con i pit bull ci sono le stories di Elia insieme agli amici: cappuccio in testa e bandana sul viso, in sottofondo le canzoni trap, che ammiccano alla malavita e alla logica delle gang «Vengo dalla perif(eria). Italiani che vendono in piazza con arabi e neri. I ragazzi non parlano a sbirri né a carabinieri» si legge in una storia. «Entriamo alle feste ma senza gli inviti, mischiando il profitto coi soldi puliti» è un’altra delle colonne sonore. Elia è indubbiamente cresciuto in un contesto difficile, si è formato più sulla strada che a scuola. E nella storia della sua famiglia è anche stata funestata da un altro delitto: la nonna materna, Luisa Linguanotto, venne infatti uccisa il la notte del 4 settembre 1986 a Biancade. Aveva 29 anni, e la madre di Elia era ancora piccola. Si pensava fosse rimasta vittima di quello che allora venne ribattezzato il “killer delle prostitute”. Il suo corpo, la mattina seguente, venne ritrovato da un agricoltore: addosso la donna aveva solo gli slip. A ucciderla sette colpi al capo, vibrati con un bastone o con un sasso che non vennero mai ritrovati. Per quel delitto venne imputato un operaio della zona, che quella sera si era appartato in auto con Luisa per un rapporto sessuale. Assolto in primo grado dalla corte d’assise di Treviso, venne condannato a cinque anni in appello da scontare negli allora manicomi giudiziari, dopo essere stato dichiarato non imputabile per vizio di mente, tornando in libertà nel marzo del 1991. 

Ultimo aggiornamento: 17:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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