Donadon, l'imprenditore visionario: «H-Farm, così ho deciso di aiutare i giovani»

Lunedì 2 Agosto 2021 di Edoardo Pittalis
Riccardo Donadon, imprenditore di 54 anni

TREVISO - «La nuova generazione sarà molto meno romantica di noi nei confronti della tecnologia. Noi siamo quelli che ancora si stupiscono su cose di una banalità sconvolgente: ci perdiamo dietro un selfie». Riccardo Donadon, trevigiano, 54 anni, ha gambe lunghe per camminare nel futuro.

La sua H-Farm è proiettata nel domani, qui si formano le nuove professioni tra prati fioriti e orti, campi di padel e piste di pattinaggio e bike. Donadon è uno di quelli che Giorgio Brunetti, nella sua storia della cultura dell'impresa a Nordest, chiama visionari. Si è messo in cammino per il domani digitale prima che l'Italia si muovesse. H-Farm, che poi sta per Fattoria degli Uomini, si estende su 52 ettari della vecchia tenuta di Ca' Tron a Roncade, era dalla Cassa Marca, oggi è proprietà della Cattolica Assicurazioni. Ha 640 dipendenti, la metà lavora nella consulenza, l'altra in un percorso scolastico dalle elementari all'università con alunni da tutto il mondo e una sola lingua, l'inglese. Fatturato 60 milioni di euro, 45 dalla consulenza. A trent'anni Donadon ha trovato l'idea giusta, l'ha venduta a una multinazionale proprio nel momento in cui si passava dalla lira all'euro e ha investito un'altra volta nel domani.

Ma già da bambino aveva capito che questa era la sua strada?
«Mio padre Ciano era un commerciante nel campo della zootecnia, lavorava per Montedison e Ferruzzi. Io e mia sorella abbiamo avuto una bella infanzia a Treviso. Avevo la passione per il computer e per il cinema, soprattutto quello italiano, per qualche anno sul Gazzettino di Treviso ho tenuto la rubrica dei film della settimana. Il primo computer che ho avuto è stato il classico Commodore 64, al tempo dell'università sono incominciati i collegamenti in Internet. Dopo ho lavorato da Benetton, dovevo portare la connettività per far giocare i ragazzini della Ghirada e l'ho fatto a patto che avessi la possibilità di sviluppare un centro commerciale virtuale. Ci siamo riusciti tanto bene che è stato venduto a Infostrada per una bella cifra. Era un progetto nato in una stanza con pochi amici, eravamo bravi e pronti per creare qualcosa di nostro. In otto abbiamo aperto E-Tree, una società di riferimento nell'ambito dei servizi Internet. Dormivamo pochissimo, siamo cresciuti in fretta in quella che abbiamo chiamato la Fonderia: da 8 siamo diventati 160 e in tre anni avevamo un bilancio da 26 miliardi di lire. Vivevamo là dentro dove c'erano anche due piste di bowling. Abbiamo venduto a una società che stava per quotarsi in Borsa per una cifra importante, avevo il 30% delle azioni, ho portato a casa qualche decina di milioni di euro e li ho spesi tutti per fare H-Farm, ma sono sicuro che questa cosa varrà molto di più».

Quando è nata H-Farm?
«Non subito, prima mi sono concesso un po' di capricci classici di un ragazzo che era stato fortunato. Mi sono anche messo a fare il giardiniere che è una cosa che mi piace tantissimo perché ti confronti con le variabili che non puoi controllare: il tempo, per esempio. Mi sono divertito molto con l'orto, anche se quest'anno la gelata di aprile ha ucciso le piante. Adesso devo lavorare di più con i fiori che creano l'effetto nella parte verde, sono un po' come i fuochi d'artificio. Mi piace comporre con le graminacee, preferisco i colori tenui e mi piacerebbe portare nel campus un po' di tamerici, anche se le rose restano i miei fiori preferiti. Sono ripartito con l'idea di rimettere i soldi in circolo, di costruire una piattaforma che potesse aiutare i giovani. La Farm è nata nel 2005 come acceleratore di piccole startup e negli ultimi dieci anni abbiamo investito 28 milioni di euro finanziando centinaia di startup. L'ultima idea di successo prodotta con un nostro finanziamento, la Depop, è appena stata comprata da un portale americano per 1 miliardo e mezzo di dollari. Qui facciamo consulenza strategica per aiutare le aziende nella trasformazione digitale e facciamo formazione dai tre ai 17 anni, mille studenti; poi c'è un percorso universitario coordinato con l'ex rettore di Ca' Foscari, Carlo Carraro. Abbiamo corsi di laurea innovativi, la nostra generazione fa molta fatica a indirizzare i figli in settori diversi, ma più che dell'avvocato tradizionale oggi è il momento dell'avvocato digitale».

Il Covid vi ha frenato?
«Siamo stati fortunati, non abbiamo avuto particolari problemi. Complessivamente il Covid ha aiutato il settore della tecnologia, lo smart-working obbligato ci ha fatto capire che senza gli strumenti giusti non saremmo riusciti a controllare ogni cosa. Il ministro Passera nel 2012, ho fatto parte della sua task-force, è stato il primo mettere al centro della nostra scena politica il digitale, non c'erano leggi, era terra di nessuno e per certi aspetti lo è ancora. Rischiamo di restare fanalino di coda, si pensi alle scuole, la follia dello Stato che si è messo a produrre banchi a rotelle invece di comprare computer a ogni alunno; portare la banda a tutti è portare la cultura nelle case. La classe politica non è adeguata sotto questo aspetto, ma la colpa è anche della mia generazione che si è seduta sul fatto di fare quello che sapeva fare senza pensare alla nuova generazione. Sembra che quelli che se ne vanno all'estero siano figli di altri. Poi c'è il sentimento di rimanere legati a quello che abbiamo vissuto noi come se fosse il meglio. Ma quel passato che ci sembrava il massimo ha perso di spessore. Ai miei tre figli - Tobia, Rocco e Olivia - faccio vedere il lunedì la serata d'autore, un film di decenni fa. Spesso resto deluso, quello che mi sembrava un classico oggi non ha senso. La mia generazione in gran parte è rimasta là, anche sedotta da certa cattiva tv».

Davvero col computer si farà tutto?
«La manualità sarà sempre utile, la nostra società ha fatto un grande errore a non valorizzare la scuola professionale che merita una rilettura attenta e l'obbligo del digitale e dell'inglese. Ma determinati lavori che richiedono ripetitività sono destinati inevitabilmente a scomparire in meno di vent'anni: tutto ciò che è ripetitivo è clonabile, il computer lo replica immediatamente. Il trasporto, per esempio: non guideremo più. La nostra generazione è cresciuta senza una lettura approfondita della differenza tra noi per capacità di apprendimento, ora queste differenze sono tutte tracciate, quelli che sembravano problemi possono essere valori. L'uomo più ricco della Terra e che andrà nello spazio, Jeff Bezos, ha l'asperger e lo ha dichiarato pubblicamente. Il talento è la risorsa più importante, bisogna aggregare questi talenti. Noi abbiamo una ricchezza di linguaggio che altri popoli non hanno, una volta ho sentito Andrea Zanzotto descrivere in cento modi diversi la luna, è questa ricchezza che crea talento».
Zanzotto chiamò la Luna puella pallidula unica selenita matta morula, glabro latte patrona inclemente protovergine neve nevissima novissima. Era la notte del primo uomo sulla Luna, una notte di fine luglio del 1969. Donadon aveva due anni.
 

Ultimo aggiornamento: 17:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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