Insegnava il Corano a suon di botte: l'imam rischia l'espulsione

Domenica 16 Febbraio 2020 di Denis Barea
Insegnava il Corano a suon di botte: l'imam rischia l'espulsione
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PIEVE DI SOLIGO - Rischia l'espulsione dall'Italia Omar Faruk, il 36enne originario del Bangladesh, ex imam della moschea di Via Schiratti accusato di aver picchiato i bambini della scuola coranica di via Schiratti. Il legale dell'uomo venerdì mattina ha depositato la richiesta di applicazione pena: l'imam, che è agli arresti domiciliari nell'abitazione in cui vive dal luglio scorso a Mestre con la famiglia, vuole chiudere i conti con la giustizia con un patteggiamento. 

Ma con la condanna Omar Faruk rischia, alla luce delle norme previste dal decreto sicurezza, di perdere il diritto a restare nel nostro paese per la gravità dei reati: maltrattamenti a minore e violenza privata aggravata dall'età delle vittime, la loro minorata difesa, il fatto di essere il ministro di un culto riconosciuto.

«Ammetto di aver sbagliato - ha detto il 36enne, guida sprituale della comunità bengalese di Pieve di Soligo - ma non volevo essere crudele. Quelli sono i metodi che mi sono stati insegnati e che erano stati applicati anche a me nel mio paese. I genitori? Sapevano delle punizioni». 

IL DIFENSORE
«L'espulsione - spiega il suo difensore, l'avvocato Roberto Baglioni del Foro di Venezia - non è automatica ma è una iniziativa discrezionale delle Prefetture. Il punto è che ciò che gli viene contestato è grave, il provvedimento amministrativo non è una possibilità remota». Due i precedenti recenti nella Marca: nel luglio scorso Rubin Xhika, l'albanese 28enne condannato a 10 anni di reclusione per tentato omicidio in relazione ai fatti tragici di Fontane di Villorba in cui venne ammazzato a coltellate il 20enne moldavo Igor Ojovanu si è visto revocare il permesso di soggiorno mentre alla fine dello scorso anno il Prefetto di Treviso aveva firmato il decreto di espulsione per il 32enne albanese Florian Saraci, accusato di essere radicalizzato come estremista islamico e condannato ad un anno di reclusione per stalking nei confronti della moglie che riteneva troppo occidentalizzata.

CONDANNA CERTA
Che i guai con la giustizia di Omar Faruk si concludano con una condanna è pacifico. L'avvocato difensore spera quantomeno di contenere i danni patteggiando una pena di partenza di quattro anni e mezzo di reclusione che, con l'eventuale concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti e grazie allo sconto di un terzo grazie al rito porterebbe il conto a tre anni. L'istanza di applicazione pena in fase di indagini dovrà essere adesso valutata dal pubblico ministero Zampicinini, che nei confronti di Omar faruk aveva chiesto il giudizio immediato. Le violenze alla scuola coranica di via Schiratti erano venute alla luce del sole lo scorso luglio quando il gip di Treviso, su richiesta della Procura, dispose nei suoi confronti la misura cautelare del divieto di dimora in provincia di Treviso. A mettere gli inquirenti sulle tracce di Omar Faruk erano state le maestre elementari dei piccoli, che avevano notato sui loro corpi lividi che erano segni inequivocabili di violenza fisica.

«È stato il maestro di religione» raccontarono le piccole vittime alle insegnanti, che presentarono un esposto.

Nei locali di via Schiratti i carabinieri del Radio Mobile di Vittorio Veneto installarono telecamere e microfoni nascosti che documentarono l'orrore: bastonate, tirate di capelli e di orecchie per i piccoli, tutti bengalesi, che non riuscivano a recitare le Sure a memoria in arabo. Ad un bambino di sei anni, accusato di aver rubato un Corano ad una compagna, Omar Faruk aveva rivolto la minaccia di tagliargli un orecchio, facendo un gesto inequivocabile con la mano. Un altro, per punizione, era stato lasciato con due biscotti e un bicchiere di acqua per otto ore. Insieme ad Omar Faruk sono state indagate sempre per maltrattamenti e violenza privata anche altre due persone, che secondo gli inquirenti fungevano da supplenti della scuola coranica. Per entrambi la Procura ha chiesto il rinvio a giudizio. Uno è il papà di una delle vittime. 

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