I "figli della guerra", gli stupri dei soldati tedeschi (ma anche italiani) nel Bellunese e nell'Alto trevigiano. Che fine hanno fatto quei bambini?

Martedì 5 Gennaio 2021 di Alessandro Marzo Magno
(foto di archivio) I soldati trevigiani disarmati dai tedeschi e tradotti in stazione
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Un libro scritto da due magistrati indaga su alcuni episodi di violenza e stupro durante il primo conflitto mondiale, nelle zone del Bellunese e dell'Alto Trevigiano, compiuti dalle truppe di occupazione austro-tedesche, ma anche da militari italiani. Un capitolo drammatico con famiglie distrutte, mogli e figlie violentate e abbandonate al destino.


LA RICERCA
E poi fu Caporetto.

Il Friuli e il Veneto orientale nel novembre 1917 si ritrovarono invasi: austroungarici e tedeschi (questi ultimi fino a gennaio/febbraio 1918, quando furono trasferiti in Francia) occuparono un territorio molto vasto dal quale era fuggito circa un terzo della popolazione civile. Il che significa che due terzi erano rimasti. All'inizio la reazione è di curiosità, talvolta di sorpresa, come nel caso di Luigi Carelle, un ragazzino che abitava tra Campo di Alano di Piave e Schievenin di Quero, nel Basso Feltrino, che pensa di trovarsi di fronte persone provenienti chissà da dove e invece «vedemmo arrivare i primi soldati austriaci e, con nostra grande sorpresa, notammo che erano trentini! Fu davvero strano vedersi avvicinare questi soldati, vestiti con la divisa dell'esercito austroungarico, e poi sentirli parlare in italiano: anzi in dialetto quasi uguale al nostro». 


SULLA PEDEMONTANA

Sempre in zona Alano di Piave, un altro testimone riferisce: «I soldati germanici vestivano uniformi nuove ed eleganti, con delle grandi pezze all'interno delle ginocchia e nella parte posteriore dei pantaloni. I soldati austriaci avevano invece uniformi vecchie e consunte, erano magri e malnutriti, si vedeva che avevano sofferto molto». All'iniziale curiosità, però, subentra presto la durezza dell'occupazione e, come sempre accade in questi frangenti, a pagare il prezzo più alto sono le donne. Di questo si parla nel libro di Sergio Dini e Roberto Piccione, La sponda violata. Stupri di guerra nei territori invasi 1917-1918, edito da Mursia. Gli autori sono entrambi magistrati e quindi si avvalgono di estratti di atti processuali. Ciò che accadde durante il cosiddetto anno della fame è stato poco studiato. Dopo la fine della Prima guerra mondiale quell'anno di occupazione veniva considerato una vergogna, e poi l'Italia aveva vinto, perché occuparsi di tante brutture? Pochi anni dopo era arrivato il fascismo con tutta la retorica sulla Vittoria e quindi si era lasciata perdere quella parentesi dolorosa. Come spesso succede, quando un filone di studi non viene aperto, in seguito difficilmente viene preso in considerazione. 


NUOVI STUDI

A titolo d'esempio per trovare la collezione completa di La Gazzetta del Veneto, il quotidiano in lingua italiana dei territori occupati che si stampava a Udine, bisogna andare a Vienna, uno dei pochi libri che ha descritto la sinistra Piave occupata è Non tutti i bastardi sono di Vienna (Sellerio), con il quale Andrea Molesini ha vinto il Campiello nel 2011, un romanzo che riferisce fatti realmente accaduti. Per quanto riguarda gli stupri, al di là che ci sono stati, è davvero difficile capire come siano andate le cose. Intanto ne sono stati commessi dai soldati italiani in fuga, fenomeno nascosto dai comandi, addossando tutte le colpe al nemico, che era più comodo. Le denunce sono state raccolte all'indomani della fine della guerra. 


VIOLENZE AL FRONTE

Di sicuro molte donne non hanno voluto denunciare di aver subito violenze per vergogna o per volontà di dimenticare; altre invece possono essere state spinte a trasformare in stupri storie d'amore col nemico. Non c'è niente di strano che giovani ragazze di territori occupati abbiano storie d'amore con giovani ragazzi in divisa nemica: è sempre accaduto, ovunque, e quindi non si capisce perché non debba essere successo anche in Veneto orientale e in Friuli. In altri casi intrattenere un rapporto fisico con un soldato, meglio ancora con un ufficiale, occupante poteva fare la differenza tra morire di fame (e si moriva letteralmente di fame in quel periodo) e avere qualcosa da mettere sotto i denti. Salvo che all'indomani della fine dell'occupazione quelle storie coi soldati nemici possono diventare fonte d'imbarazzo e quindi era politicamente corretto trasformarle in stupri. 


TANTE TESTIMONIANZE

Le testimonianze raccolte sono molteplici e si riscontrano alcune costanti: la maggior parte degli stupri è avvenuta nel periodo iniziale dell'occupazione e prima della ritirata in seguito all'offensiva di Vittorio Veneto. Nel mezzo si era stabilita una specie di convivenza forzata. La maggior parte delle violenze avveniva in case di campagna isolate, spesso protagonisti gruppetti di soldati ubriachi e non tutti prendevano direttamente parte allo stupro: qualcuno rimaneva a guardia dei familiari mentre i compagni violentavano le donne. Nelle città queste violenze sono state più rare. Non c'erano distinzioni d'età: le vittime potevano essere ragazzine appena adolescenti come donne molto anziane. In qualche caso, per fortuna raro, la vittima veniva uccisa dopo lo stupro. Molto spesso, invece, agli stupri si accompagnavano le ruberie, in particolare di cibo. Chiedere giustizia non serviva a nulla: se qualche malcapitata andava al comando a denunciare l'accaduto veniva derisa e maltrattata. 


LA FEROCIA TEUTONICA

In base alle denunce sembra che si macchiassero più spesso di questo reato i tedeschi (finché rimasero) e gli ungheresi. Gli austrotedeschi erano quelli più rispettosi delle popolazioni civili, mentre ci sono stati casi di soldati austriaci di lingua italiana trentini e del Litorale intervenuti in difesa delle ragazze venete. Una testimonianza a Segusino (Belluno), novembre 1917: «I tedeschi avevano rinchiuso alcune ragazze in una casa con l'intenzione di violentarle, ma per fortuna queste erano riuscite a fuggire all'ultimo momento. La stessa fortuna, invece, non avevano avuto altre tre ragazze che imprudentemente si erano esposte alla vista dei soldati: erano state prese con la forza, portate all'interno di una casa e violentate». 


LE GRAVIDANZE INATTESE

Ovviamente una parte di queste ragazze rimase incinte. E qui si apre un altro doloroso capitolo: quello degli infanticidi e dei cosiddetti figli della guerra. Alcuni di questi poveri neonati venivano ammazzati dalle madri appena dopo il parto; ci sono stati un po' di processi, in genere conclusi con pene molto miti. Quando i mariti tornavano dalle trincee o dalla prigionia, il che poteva accadere anche dopo un paio d'anni dalla fine della guerra, e trovavano a casa un piccolo tedesco, come venivano chiamati questi bambini, scoppiava il dramma. In genere intervenivano i parroci per cercare di sanare la situazione. Il compromesso che si raggiungeva era che il marito perdonava (di cosa poi?) la moglie, ma esigeva che il piccolo fosse allontanato. Questi figli della guerra furono raccolti nell'istituto San Filippo Neri, di Portogruaro. L'ultimo figlio della guerra è morto di recente, nel settembre 2019, a 101 anni d'età. Si chiamava Guerrino Moretto, e aveva gestito un noto negozio di biciclette a Portogruaro.

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