«Così aiuto le imprese del Nordest a crescere»

Lunedì 10 Maggio 2021 di Edoardo Pittalis
Giovanni Gajo

TREVISO - È lo spettatore e attore del Nordest, dal miracolo economico alla speranza del dopo pandemia. C'era, giovane, nella Zanussi che sembrava aver trasformato Pordenone nella Manchester italiana e faceva concorrenza alla Fiat: «Mi ero illuso che potesse continuare per sempre e invece». Ha attraversato da protagonista tutte le stagioni, quelle dell'euforia e quelle della presunzione. Una vita nei posti giusti, presidente e consigliere d'amministrazione di decine di aziende e società; una ventina di presidenze, dalla Marzotto alla Finanziaria Internazionale; una cinquantina di consigli. E a 80 anni è ancora al timone di società, come la Alcedo, che investono in aziende per rilanciarle sul mercato.
Giovanni Gajo, nato nella Treviso della guerra e scappato sotto le bombe della Pasqua di sangue, è cresciuto in un Veneto che si è totalmente trasformato.

Si racconta come un umanista prestato all'economia, tanto che dopo la prima laurea a Ca' Foscari ne ha preso una seconda a quarant'anni a Padova in psicologia e adesso è uno studente della facoltà di Storia. «Sono molto soddisfatto della mia vita, anche se gli studi non erano proprio quelli che desideravo, sono più un umanista che un tecnico. Psicologia mi aiutava perché l'uomo mi incuriosisce molto più delle cifre, ma è la storia la vera passione infinita».


Come era la Treviso nella quale è cresciuto?
«Sono andato profugo bambino a Maserada sul Piave dopo il bombardamento di Pasqua del 1944. C'è stata tanta paura, siamo scappati presso una famiglia con la quale abbiamo mantenuto sempre un legame. Eravamo quattro fratelli, papà Vittorio era un impiegato della Previdenza sociale, mamma Oliva casalinga. La Treviso del dopoguerra era una città in crescita, vivace sotto ogni aspetto, siamo tutti figli della parrocchia e dell'oratorio poi della Democrazia Cristiana. Studiavo e lavoravo, mi sono laureato in Economia a Ca' Foscari nel '65 e ho avuto un insegnante formidabile, il professor Mario Volpato, faceva capire la matematica a chiunque. Ho incominciato alla Zanussi di Pordenone che era in grandissima crescita, qualcosa che non ho più visto in vita mia: un tasso di incremento del 40%, tutti volevano il frigorifero, poi la lavatrice. Si era creata una potente euforia. Poi per dieci anni lo lavorato a Milano con un'impresa trevigiana che non c'è più, la Chiari e Forti, che in quel tempo ha avuto una vicenda turbolenta: l'ingegner Chiari è stato incarcerato per quasi due mesi per qualcosa alla quale era completamente estraneo, ma i giudici lo hanno detto solo sei anni dopo! Era la fabbrica di Olio Cuore e Olio Topazio, i più conosciuti in Italia, allora l'azienda era più grande della Barilla. Da un giorno all'altro un pretore d'assalto di Asolo accusò l'olio di colza, che era lecito e consumato in tutta Europa, di far male alla salute. Lo stabilimento è in rovina, lungo il Sile».


E siamo agli anni Ottanta, cosa è accaduto dopo a Gajo e al Veneto?
«Dopo ho aperto un'attività mia, la Gajo associati con la quale davo consulenza alle aziende. Le più grandi erano miei clienti, dalla Benetton alla Marzotto, dalle Generali alla Zanussi. Poi dalla consulenza sono passato alla gestione investimenti con la Finanziaria Internazionale della quale ero presidente. Nel frattempo, ho presieduto per cinque anni la Sanremo di Treviso, la ditta di abbigliamento che aveva 1500 dipendenti ed era della Gepi, una finanziaria pubblica; l'ho portata in attivo. Adesso è sparito anche il marchio. Anche Monti non c'è più. Nel 1949 mio padre fu assunto dalla Monti di Maserada e ci rimase trent'anni. Allora il settore tessile era trainante per tutto il Veneto: la Marzotto, la Lanerossi, Sanremo, Monti Avevano capito gli stili, creato la vestibilità badando ad accontentare le fasce d'età. Erano colossi, oggi quel mondo è sparito».


Dalla consulenza alla gestione finanziaria: il mondo economico veneto si stava trasformando?
«Negli ultimi 35 anni mi sono occupato di gestione di aziende industriali con strutture dedicate a questo: dalla Finanziaria Internazionale alla 21 Finanziamenti, infine all'attuale Alcedo. Questi organismi, che ho contribuito a creare, raccolgono denaro dagli investitori finanziari o imprenditoriali: o comperiamo la maggioranza, o entriamo come soci di minoranza; un percorso di almeno cinque anni, e dopo le collochiamo sul mercato. Una volta si chiamavano semplicemente società finanziarie, oggi sono società gestione del risparmio».


Ma in questo modo si va verso un'economia soprattutto di servizi?
«No, anche se non nascondo il rischio. In questi ultimi anni ho fatto una valanga di investimenti, almeno 150. Si fa fatica a trovare in Italia uno che abbia fatto un percorso così lungo e complesso, soprattutto uno che si sia occupato tanto del Nordest: abbiamo aiutato molti imprenditori a far crescere le loro aziende, non siamo solo apportatori di capitale, diamo valore. Da fabbriche di vasche di idromassaggi a policlinici che poi hanno comperato un ospedale. Alla Masi, quella dell'Amarone, che abbiamo portato in Borsa. Abbiamo investito nella Ligabue, nella Lafert, agricoltura, catering, beni per la casa, motori elettrici, bio. Dobbiamo confrontarci, per esempio, con la Cina che è in questo momento il paese più ricco del mondo con tassi di crescita paragonabili all'Italia del miracolo economico. Ha soldi per investire e comprare dappertutto, fanno potenti investimenti anche in Europa. Qui sono i nostri concorrenti, ma potrebbero anche trasformarsi in nostri alleati. Non solo i cinesi comprano, ma quelli più bravi cercano di aggregare. C'è un mercato delle aziende che prima non esisteva, si esce da questa crisi con l'unione delle forze, sono un teorico dell'aggregazione. Il Nordest è un territorio ideale sotto questo aspetto».


La chiamano il Presidente, le piace?
«Ho fatto il presidente 25 volte: alla Marzotto, Finanziaria Internazionale, Policlinico Abano, anche alla Permastelisa Una volta mi sono divertito a fare i conti dei consigli d'amministrazione dei quali ho fatto parte, sono oltre 50! Vuol dire che mi sono fatto un'esperienza di aziende e di gestione di aziende anche familiari che si fa fatica a trovarne un altro. Il mio è un tipo di lavoro a cavallo tra imprenditore-consulente-professionista-investitore. Un po' per età, un po' per esperienza variegata mi sento di essere un conoscitore del Nordest. Quando ho iniziato a lavorare avevo 18 anni, il mondo imprenditoriale era diverso, era molto importante produrre quello che veniva richiesto e la produzione non riusciva a soddisfare il mercato. C'era un ambiente frizzante, entusiasmante; era la prima generazione e voleva solo crescere. Oggi siamo alla terza generazione e questa fase è tutta più complessa, occorre un controllo severo dei costi. La ricerca di efficienza è diventata spasmodica ed è fondamentale che da un punto di vista tecnico si produca in modo digitale, devi sapere sempre cosa succede in tempo reale».


Come vede il futuro qui a Nordest?
«Il futuro, pur essendo ottimista e avendo un cognome che ispira allegria, non lo vedo solo roseo. Bisogna far lavorare tutta la gente, ma i mercati sono saturi e occorre diminuire i costi. Abbiamo vissuto in tutto il mondo occidentale uno sviluppo irripetibile e che ci ha abituato male, c'è anche un malessere nel benessere. Per soddisfare un mercato crescente, abbiamo creato un sistema complesso da gestire, inquinante. Ma per il Veneto sono più ottimista: abbiamo solo avuto un mancamento. C'è una classe imprenditoriale sempre scattante e che vuole investire, non è un territorio affondabile».
 

Ultimo aggiornamento: 11 Maggio, 10:19 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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