Quindici anni senza Giorgio Lago: «Narrò un Nordest di eccellenze»

Venerdì 13 Marzo 2020
Giorgio Lago
«Mio padre poteva parlare di religione con Cacciari o con padre Turoldo, poteva discutere della terra veneta con Zanzotto, ma poi al bar o al mercato litigava in dialetto sulle partite della sera prima». È racchiusa in questi scampoli di memoria da parte del figlio Francesco una sintesi acuta della figura di Giorgio Lago, storico direttore del Gazzettino. A 15 anni dalla scomparsa, l'associazione Amici di Giorgio Lago si è fatta promotrice di un premio rivolto agli studenti liceali per scoprire nuovi talenti del giornalismo, ma ha anche completato l'archiviazione online di oltre 1500 articoli del giornalista (www.associazioneamicidigiorgiolago.it).

Francesco Lago, come è cambiato il Nordest da quando il direttore ne scriveva dalle colonne di questo giornale?
«Con Francesco Jori mi sono occupato di raccogliere tutti gli articoli di mio padre e, rileggendoli, ci si rende conto di quanto siano purtroppo molto attuali, nel senso che è successo di tutto, ma in fondo non è cambiato nulla».
Cosa significa?
«Nel 2004 scriveva dei facili becchini del Nordest o che il Nordest non è l'Eden, ma si può applicare la riflessione al presente. Il Nordest è cambiato, non realizza più i fatturati di allora, ma è sempre una terra di eccellenze. E poi c'è il tema dell'autonomia che rimane al palo. Ci sono articoli o editoriali che potrebbero esser scritti oggi: nessuna rivoluzione, sono solo cambiati gli attori sulla scena politica».
Lago, opinionista e fustigatore, ha iniziato dallo sport
«In realtà scriveva già di politica allora. Ha sempre seguito la politica internazionale e al Gazzettino avevano iniziato a sfruttare le sue trasferte oltre lo sport: quando era in Cile nel 1976 per la Coppa Davis ha scritto molto del Paese e da Mosca, durante le Olimpiadi del 1980, teneva la rubrica Pensieri in cirillico dedicata alla situazione sociale nell'Urss. Nel 1972 fu uno dei primi ad accorgersi della strage terroristica alle Olimpiadi di Monaco».
Cronista sportivo anomalo?
«Sì, dato che scriveva di politica e questioni sociali. La sua nomina a direttore fu una sorpresa per chi non lo conosceva, ma i colleghi vicini sapevano della sua grande preparazione».
Non fu mai tentato dall'entrata in politica?
«Gli è stato proposto più volte, in particolare di candidarsi a sindaco di Venezia. L'unica volta però in cui è stato tentato (e ne abbiamo parlato in famiglia) è stato per la presidenza della Regione nel 1996. Ci ha pensato molto, dato che stava lasciando il Gazzettino ed era al massimo della popolarità».
Poteva farcela?
«Forse. E col senno di poi per il Veneto sarebbe cambiato il futuro. Un grande giornalista non è per forza un grande politico, ma nessuno può negare l'assoluta e intransigente onestà di mio padre».
Perché non lo fece?
«Proprio per etica. Dal 1994 bastonava Berlusconi dalle colonne del Gazzettino per il conflitto di interessi. Al di là dei programmi, per lui era inaccettabile fare politica in un Paese civile controllando giornali e Tv. Ecco che, se fosse sceso in politica, avrebbero potuto rinfacciargli una sorta di campagna elettorale premeditata. Impensabile».
Lago e la cultura.
«Leggeva tantissimo, era appassionato di filosofia. Abbiamo i nastri di lunghissime conversazioni in dialetto con Zanzotto, con padre Turoldo o con Massimo Cacciari. Negli ultimi anni ha scritto cose bellissime partendo da quei dialoghi. E poi sosteneva che gli scrittori veneti fossero i più grandi del Novecento italiano».
La sua vita in famiglia?
«Nei primi anni da inviato lo vedevamo pochissimo. Il sabato era il giorno per noi. Con la direzione gli orari erano impossibili, per cui me lo son goduto poco. Eppure ha lasciato ricordi indelebili, non solo per noi ma in tutti quelli che ha incontrato».
Giambattista Marchetto
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Ultimo aggiornamento: 10:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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