Gentilini dopo i fischi a Bossi: «Fatti da parte, il partito è di Salvini»

Lunedì 22 Maggio 2017 di Alvise Fontanella
Giancarlo Gentilini con Umberto Bossi
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TREVISO - «Ad un certo punto bisogna lasciare spazio alle nuove generazioni, e a Umberto Bossi, che ha creato la storia della Lega, dico che bisogna avere il coraggio di cedere il testimone». Parla così Giancarlo Gentilini, l'ex "sindaco sceriffo" di Treviso, all'indomani dei fischi al Senatur al congresso di Parma, fatto inedito per la Lega.
 
E mentre tutti i dirigenti leghisti, a partire da Luca Zaia che sul palco di Parma dedica all'Umberto l'applauso che riceve, e fino allo stesso Matteo Salvini che quella claque di fischiatori forse non ha organizzato ma ha certamente consentito, tentano di rattoppare i rapporti col padre fondatore, ci pensa ancora una volta il bastian contrario Gentilini a mettere il coltello nella piaga lanciando al Senatur un messaggio chiaro, da vecchio a vecchio della Lega: «Umberto, con te ho condiviso i tempi eroici della prima Lega, ma ora dico: stai vicino a Salvini, dagli consigli, ma lascia la gestione a lui».

Una messa a punto, quella di Gentilini, utile a evitare di essere accontanato dal movimento, come sta avvenendo a Bossi. Perché recentemente lo Sceriffo aveva esercitato la propria abitudine a parlare fuori dei denti in un modo che non è piaciuto molto agli attuali dirigenti della Lega. «La Lega di oggi è un poltronificio, si dedica solo alle lotte di potere, io non ho niente a che fare con questi qua - aveva tuonato Gentilini - devo esprimere tutto il mio disgusto verso questo partito che è tutt'altra cosa dalla Lega gloriosa e rivoluzionaria del 1994». E queste nostalgie così esplicite erano parse a tutti una sconfessione aperta alla gestione salviniana del partito e un rimpianto della lega bossiana dei tempi eroici. Tanto che il segretario provinciale di Treviso della Lega, Dimitri Coin, aveva messo alla porta il vecchio leone con una franchezza degna di lui: «D'ora in poi Gentilini è fuori». Fuori da tutto, dal partito e anche dalle elezioni, alle quali lo Sceriffo contava di partecipare con un alista d'appoggio alla Lega.

Ma così non era, evidentemente. Quelle dello Sceriffo erano critiche legate a problemi di gestione locale del partito, e non vengono affatto sconfessate, anzi. Gentilini rivendica come al solito il suo diritto a dire la sua sua qualsiasi cosa, anche in conflitto con i dirigenti di oggi, ma senza per questo voler essere intruppato tra i nostalgici o tra gli oppositori per partito preso. L'invito esplicito a Bossi a farsi da parte, a «dar consigli» ma a lasciar fare Salvini, va infatti a braccetto con l'aperta condivisione, da parte di Gentilini, dei contestati - da Bossi - pilastri della linea salviniana, il no all'euro, il no all'Unione Europea. Una rivendicazione d'indipendenza, che lo Sceriffo ribadisce anche nei confronti dei dirigenti regionali e provinciali di Salvini, avvertendo il riconfermato segretario federale: «Stai attento, fai una pulizia etnica dentro il movimento, perchè non posso tollerare che ci siano certi personaggi che vogliono espellere dalla Lega persone come il sottoscritto che hanno sempre lavorato per il bene del movimento». Ma è ben difficile che la richiesta di "pulizia etnica" a Salvini, nei confronti di dirigenti come Toni Da Re, il segretario nazionale della Liga Veneta, o del provinciale Dimitri Coin, venga accolta.
E Gentilini lo sa benissimo.​
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