Ervas nel Nordest che sogna la giustizia "fai da te": «Il mio Stucky tra crepe, schei e umanità»

Lunedì 7 Novembre 2022 di Chiara Pavan
Lo scrittore Fulvio Ervas

Strana terra, il Veneto, puoi «farti fregare migliaia di euro da una banca che ti concede un prestito in cambio delle sue azioni, ma se qualcuno ti entra nell’orto, se qualcuno osa rubarti il tagliaerba o la motosega, allora spiani il Magnum calibro 12 a pompa, e spari». Oppure puoi «dare da bere i Pfas ai bambini che tanto “semo forti”, puoi sfruttare i tuoi lavoratori pakistani che tanto chi se ne frega dei pakistani, puoi seppellire sotto le strade tutta la merda che vuoi, che tanto qua siamo seri e non ti controlla nessuno... Qua semo el Veneto, no se fermemo mai». Fulvio Ervas si diverte a giocare col fuoco, proprio come il suo meraviglioso ispettore Stucky che torna ad indagare nella sua Marca che “gioiosa” non sembra più, minacciata da malaffare, corruzione, speculatori senza scrupoli, ma soprattutto da una comunità pronta a farsi giustizia da sè: “La giustizia non è una pallottola”, edito da Marcos y Marcos (18 euro), nono capitolo della serie immortalata anche al cinema (“Finchè c’è prosecco c’è speranza” di Padovan con Giuseppe Battiston), è un’intelligente riflessione sul Nordest, tanto caro allo scrittore veneziano, trevigiano di adozione: uno sguardo che abbraccia l’imprenditoria illuminata delle Colline e il territorio devastato nel nome del denaro, e poi killer misteriosi, amori che si accendono, delitti sepolti troppo tempo fa e figli che chiedono conto di un silenzio colpevole.

Ervas, un titolo interessante tanto più di questi tempi.

«Già: ormai si pensa che sparare sia il metodo migliore per sistemare le cose.

A mio avviso ci sono righe per terra che vanno osservate e rispettate il più possibile. Certo, Il ma volte si scivola, ma vanno viste, devi sapere che se le oltrepassi ci saranno conseguenze. Ma la giustizia non può essere un atto vendicativo. E Stucky, che è uomo di stato, lo deve rivendicare».

La nostra epoca, invece, rivendica l’io.

«Esatto: sei convinto che quello pensi vada bene per tutti. Che sia assoluto. Ma non funziona così. La gravità di un atto non è legata al fatto che tu la percepisca o no. Il contesto non lo decido io. L’uomo deve sapere come muoversi».

Le mancava Stucky?

«Sì. Dopo 4 anni avevo voglia di rivederlo. È ironico, divertente, osserva, sa unire i puntini e non vuole dimenticare. Mantiene viva la sua umanità. L’individualità arriva dove finisce la linea per terra, l’umanità connette le tante linee».

Nel romanzo segue più storie.

«Mi è venuto così. Io mi metto lì e non so cosa scrivo. Sono le mie derive creative, son fatto mal...Questione di struttura mentale».

E poi racconta le cave, il territorio che viene “rapinato”, gli atti corruttivi del Mose.

«Io capisco il desiderio di far profitto, ma non sulla pelle degli altri: cos’è il medioevo in cui pensi che il territorio sia solo tuo e gli altri siano servi? Siamo nel 2022, il mondo è cambiato, se gli imprenditori non si capiscono questo, andiamo a fondo tutti. Il Conte Giustinian del romanzo è ricco, fa schei ma accumula bellezza e non mangia il territorio. Mentre il titolare della cava, Veronese, pensa che sia tutta “roba sua”. Questa regione bellissima ha ancora troppi squali».

C’è anche Treviso, dove «le persone non hanno l’abitudine del vociare pubblico, tantomeno dell’urlo all’aperto».

«Sono innamorato di Treviso, è una città bellissima, ha il vantaggio di non essere grande e si può gestire. Ha buona cura di sè: una città narcisistica».

Stucky ne vede le crepe.

«Stucky prova empatia. Che è un modo per sentire gli altri. Non ha pregiudizi, ma ha naso nel percepire gli altri. Ha imparato dalla vita che le persone, come le strade, hanno marciapiedi e crepe, con una doppia via di entrata: ti entra il mondo e tu comunichi con il mondo. Questo ti può migliorare o peggiorare. È la partita della vita, ma è qui che si vede di che stoffa sei fatto, la vita ti mette alla prova tutti giorni».

Come lo vedeva quando l’ha creato?

«Sono passati 16 anni, è cresciuto. Fondamentalmente volevo creare dei gialli che fossero a basso contenuto di violenza e sangue, ma con molta ironia, che è fioretto con cui puoi infilzare senza fare massacri. Lo immaginavo come un 40enne brillante, acuto, divertente, anche fighetto, che va a bacari, ma ha un senso del limite. Poi è diventato più grande: adesso, sempre con ironia, se fai una cazzata te la fa notare, ci ride sopra con te, diciamo che tenta di essere un aggiustatore di marciapiedi rotti. Se vede le crepe, Stucky prende il cemento e le riempie. Cerca sempre di costruire».

Ervas, è appena andato in pensione. Le mancherà la scuola?

«Sì, mi mancheranno gli studenti, la scuola e i suoi riti, e l’energia che ti passano i ragazzi. Così scrivo». 

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