Eterna Francesca Porcellato, impresa a 51 anni: «Sono come il vino, miglioro con l'età»

Mercoledì 1 Settembre 2021 di Francesco Coppola
Francesca Porcellato

Eterna Francesca Porcellato. Alla soglia dei 51 anni e alla undicesima paralimpiade ha centrato l'argento, ha messo al collo l'undicesima medaglia olimpica in tre differenti discipline. Nella cronometro della giornata inaugurale del ciclismo su strada a Tokyo, la Rossa Volante (origini trevigiane di Poggiana e veronese d'adozione di Valeggio sul Mincio) anche stavolta ha stupito tutti, con l'argento (33'3052) dietro alla 36enne tedesca Annika Zeyen (32'4697). Bronzo alla 40enne polacca Renata Kaluza (33'5032). 
Come ha vissuto questa nuova esperienza? 
«Sono felice, stanca, soddisfatta e incredula del risultato ottenuto e mi viene da dire che se è un sogno non svegliatemi. Insomma un mix di belle emozioni e un po' di tensione che pian pianino se ne sta andando. Ho aspettato tanto questo momento ed ora è arrivato. Non è stato facile riconfermarsi, alla mia età poi, ma ci sono riuscita ed è una bella soddisfazione».
Come ha affrontato il difficile percorso? 
«Sapevo che sarebbe stata gara dura su un circuito con tanto dislivello e discese pericolose che avevo provato nei giorni scorsi. Non è stato facile soprattutto nei momenti in cui avvertivo da lontano l'avanzare delle avversarie ma ci sono riuscita ed è stata l'occasione che ha fatto scattare nella mia mente l'orgoglio e la grande voglia di recuperare terreno». 
Meglio di Rio 2016.
«Si vede che sono come il buon vino rosso: più invecchio e più miglioro ma è stata veramente molto dura». 
Cosa ha provato quando a fine gara è stata resa nota la classifica finale? 
«Tantissima gioia, soprattutto perché dopo tutti questi anni sono ancora sul tetto del mondo ed è bellissimo. In fondo il mio motto cui mi ispiro è crederci sempre, arrendersi mai'. Sono orgogliosa di me, di essere italiana e di contribuire con i miei risultati a far crescere lo sport paralimpico». 
Quali i Giochi più difficili che ha dovuto affrontare in carriera? 
«Sicuramente quelli invernali di Vancouver nel 2010: per la preparazione e anche per le difficili condizioni climatiche e l'abbondante neve che avevano reso più impegnativo il percorso».
E per quanto riguarda il ciclismo? 
«Rio 2016 è stata difficile. Un mese e mezzo prima avevo subito un infortunio e ci siamo dovuti rimboccare le maniche e svolgere un lavoro straordinario nell'ultimo mese per recuperare forma e tempo perso. Per quelle di Tokyo 2020 è stata la durata della preparazione: lavorare un anno in più è stato impegnativo e molto faticoso». 
E per il futuro? 
«Per adesso programmi precisi non ci sono perché al mio rientro in Italia desidero riposarmi e dedicarmi completamente alla famiglia. Tra poco mi dovrò mettere al lavoro perché faccio parte del Comitato Organizzatore di Milano-Cortina 2026. Ci sono varie idee e progetti che per il momento sono in embrione». 
Chi ringrazia per questo ennesimo successo?
«Tutti quelli che mi sono stati vicini, mio marito, Dino Farinazzo che è l'artefice dell'atleta che sono, la mia famiglia di origine, gli sponsor, la mia società Apre Olmedo ed i fans che ho scoperto essere davvero tantissimi». 
Una dedica speciale?
«Sicuramente ad Alex Zanardi che in questi giorni sarebbe stato in gara con noi. Lui è la nostra ispirazione e rimane un grande maestro e un esempio per tanti giovani». 
Quelle di Tokyo potrebbero essere le sue ultime Paralimpiadi? 
«Anagraficamente potrebbe... ma mi viene da dire: mai dire mai. Quando mi diedero la prima carrozzina l'unica cosa a cui ho pensato è stata quella di farla andare più veloce che potevo e ce l'ho fatta». 

      
 

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