Sexy estorsione, poi il suicidio «Dopo 4 anni ricattatori impuniti»

Lunedì 24 Dicembre 2018 di Roberto Ortolan
Sexy estorsione, poi il suicidio «Dopo 4 anni ricattatori impuniti»
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CASTELFRANCO - «Sono stanco. Da quattro anni attendo giustizia per la madre dei miei due bambini: è stata spinta ad ammazzarsi da persone senza scrupoli». Per l'ennesima volta il processo è saltato. E la ferita si è riaperta. «Non riesco più a dormire e quando guardo i miei figli non so cosa dire: non posso spiegare perchè la loro mamma non c'è più». A parlare, affidando il proprio sfogo all'avvocato Pietro Guidotto che lo assiste, è il marito della 40enne che il 3 marzo 2015 si uccise per disperazione. Vittima di un ricatto a luci rosse sul web, non riusciva più a guardarsi allo specchio. Ma soprattutto temeva di perdere l'affetto di marito e figlioletti. Vedere le proprie foto senza veli pubblicate su internet fu un'umiliazione devastante. E in preda a un grave esaurimento, un pomeriggio in cui il marito assente per lavoro, la fece finita impiccandosi in bagno.
 
L'INCHIESTA
Suicido causato dalla depressione fu la prima ipotesi, ma l'iniziale verità nascondeva ben altro. I carabinieri scoprirono che la 40enne si era tolta la vita per la vergogna di vedere la sua immagine pubblicata sul web, dove potevano intercettarla tutti. Nulla di scabroso (come altre analoghe vicende), ma insopportabile per una donna fragile. Ma perché quella foto era finita sui social? Si scoprì che la donna, per comprare un cellulare, entrò in contatto con Fabio Schiavone, 24enne di Pozzuoli, provincia di Napoli. L'uomo, che sul profilo utilizzava l'immagine di un fotomodello spagnolo, riuscì prima a truffarla, poi a irretirla e, con l'aiuto della fidanzata, a convincerla a spedire alcune foto piccanti. Foto che il falso fotomodello, in verità un uomo molto sovrappeso, prima minacciò di pubblicare se non fosse stato pagato, poi diffuse comunque sul web, quando la sua vittima reclamò indietro il denaro.
INCHIODATI
Fu la tenacia del maresciallo Antonio Currò a risolvere il caso. Andò a Pozzuoli e riuscì a risalire a Schiavone che, in realtà, era un nome inventato. Gli autori del ricatto a luci rosse erano i 24enni Gennaro Di Bonito, di Napoli, e la compagna Enza Iovinelli, originaria della Romania. «È vero -ammise il giovane- ho avuto un rapporto epistolare con la donna. Ma non c'entro con il suo suicidio». Le prove raccolte smentivano però questa versione. E la Procura di Treviso, dopo un accurato esame delle prove, ha portato a processo i due 24enni, accusati di aver causato la morte (non resse l'iniziale ipotesi di istigazione al suicidio) della mamma con il tentativo di estorsione, ma anche di truffa, diffamazione aggravata e sostituzione di persona. Secondo la procura i due imputati avrebbero determinato la scelta estrema della 40enne.
SENZA PACE
Nel processo contro la coppia napoletana ora si è costituito parte civile il marito della vittima (anche in qualità di tutore dei due figlioletti minorenni). Sulla base delle tabelle di Milano e di una dettagliata perizia psicologica l'uomo, assistito e consigliato dall'avvocato, ha chiesto un risarcimento di quasi un milione di euro (per sè e per i figli). «Ma ciò che voglio è giustizia per mia moglie -si è sfogato- L'hanno devastata con minacce e ricatti. E lei, troppo fragile, si è tolta la vita lasciandoci soli. Ma di rinvio in rinvio, l'ultimo per l'astensione degli avvocati, non riesco mai ad averla. Una situazione frustrante e intollerabile».
Roberto Ortolan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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