Formaggi di capra bio superpremiati: la storia del caseificio Perenzin a San Pietro di Feletto

Lunedì 13 Dicembre 2021 di Edoardo Pittalis
Formaggi di capra bio superpremiati: la storia del caseificio Perenzin a San Pietro di Feletto

Emanuela Perenzin, 57 anni, titolare dell'omonima Latteria di San Pietro di Feletto nel Trevigiano racconta la tradizione familiare, dalle attività pionieristiche del nonno fino ai recenti successi con le produzioni casearie al latte di capra.


"Carissimo fratello le mie condizioni non posono, e sicome sono sensa lavoro, e vi devo dire che io non farebbe quelle spese perché sono ani cativi e poi anche sensa denaro". Era l'11 febbraio del 1931 quando Antonio Perenzin, emigrato nel 1906 dalle colline trevigiane di Feletto fin nel Massachusetts, rispondeva al fratello Valentino Angelo che gli aveva chiesto un aiuto per aprire la Latteria. Erano davvero anni cattivi, il buon Antonio non poteva essere lo zio d'America perché la sua America era nel pieno della Grande Depressione e lui era uno dei troppi milioni di disoccupati causati dal Crollo di Wall Street nell'ottobre del 1929. Tutto il mondo era nel caos, ma Valentino Angelo era testardo e non diede molto ascolto al consiglio del fratello maggiore: raccolse tutto quello che aveva e prese in gestione la latteria delle Mire a San Pietro di Feletto. Ogni famiglia allora aveva nella stalla una mucca, il lavoro consisteva nel raccogliere ogni mattina tutto il latte con un carretto; anche il cane aiutava trainando un carrettino col bidone. La lettera del 1931 è la prima documentazione del nuovo caseificio che un anno dopo avrebbe vinto la medaglia d'oro per il burro all'Esposizione di Bruxelles. Lettera e medaglia sono conservati nel piccolo museo della famiglia Perenzin.

La medaglia ha rischiato di sparire per colpa di Egidio, il figlio di Valentino Angelo, che per una fionda l'aveva scambiata con un compagno di giochi.

La storia della famiglia Perenzin

«Mio padre era vivacissimo da bambino, aveva imparato a guidare prestissimo il camioncino del nonno, uno dei primi mezzi a motore del territorio. Una volta in retromarcia ha investito la stalla dei maiali e per poco non ha fatto un macello», racconta Emanuela Perenzin, 57 anni, di Conegliano. Oggi è lei a guidare la Perenzin Latteria di Bagnolo di San Pietro di Feletto: produce formaggi, il 70% di capra biologici, leader nel settore in Italia. L'Ubriacato di Capra al Traminer ha vinto per quattro anni di fila l'Italian Cheese Awards che è l'Oscar della categoria. Finora oltre cento premi. In un anno si lavorano 2 milioni di litri di latte che servono per trenta tipi di formaggi: 24 dipendenti, il fatturato supera i 4 milioni di euro. «Stiamo lavorando tantissimo, è tempo di formaggi speciali per Natale. Chiuderemo il 2021 con un aumento del 25% di fatturato. Però, siamo preoccupati per quanto potrà accadere da gennaio: si prevedono aumenti spaziali, basta pensare all'energia elettrica, al gas e a tutto quello che serve per stalle», dice Emanuela che è affiancata dai figli Erica e Matteo Piccoli, 29 e 31 anni.


Come la piccola Latteria in collina è diventata l'azienda pluripremiata di oggi?
«Il nonno ha poi costruito nel 1956 una sua latteria a Bagnolo, firmando molte cambiali. Con i cinque figli aveva anche due negozietti a Conegliano dove le zie vendevano latte fresco. Nel 1971, alla morte del nonno, mio papà e lo zio Rocco hanno rilevato l'azienda che si è chiamata Premiata Latteria Perenzin snc di Perenzin Egidio e Rocco. Si erano divisi i compiti, lo zio si dedicava all'azienda agricola che era stata appena acquistata. Sono stati anni di successo, il presente è il frutto di quella gestione. Grazie anche a mia madre Ivana, una di quelle figure che si vedono poco e invece era tutto. Il nonno era una persona carismatica, sempre elegante, andava a Conegliano perfettamente sbarbato, col cappotto e Borsalino in testa. Magari un'ora prima era in stalla a mungere. Era importante ed è stato due volte vicesindaco. Mi piace rispecchiarmi nel ricordo di quel nonno, il general Cadorna lo chiamavamo noi nipoti».


Poi ha preso le redini vostro padre...
«Papà e lo zio si occupavano del negozio e della raccolta del latte: c'erano quattro giri del latte, uno da Conegliano in giù, si partiva alle sei del mattino, riguardava un centinaio di famiglie che mungevano e mettevano fuori il secchio. Poi c'era il giro dell'alta collina e altri due per rifornire i negozi».


Interviene nonna Ivana che ha 79 anni.
«Facevamo ricotta e burro, è stato importante il ruolo di Ludovico Pradella, un tecnico caseario che sessant'anni fa ha portato nel territorio la pasta più morbida del Latteria fresco. All'epoca si faceva quasi esclusivamente il Montasio, lo conservavano in cantina nel moschirol, l'armadio fatto di rete per evitare le mosche».


Che tipo era Egidio Perenzin?
«Papà era socievole, amava la compagnia, gli scherzi, il suo lavoro. Si era ritirato nel 1982 e aveva trasformato l'azienda agricola nella sua particolare osteria dove ogni giorno con gli amici cenava, beveva, giocava a carte. Quando è morto, nel 2006, al funerale il carro funebre ha sbagliato strada, si è infilato in un senso unico, ho pensato che quello era il suo ultimo scherzo».


Quando è incominciata l'era di Emanuela?
«Ho iniziato a lavorare in azienda a 18 anni appena diplomata ragioniera. Mi sono sposata nel 1988 e ho ricevuto la responsabilità della latteria con mio marito Carlo Piccoli che aveva visione e coraggio imprenditoriale. È stato allora che ci siamo dedicati al formaggio di capra, grazie all'incontro con un produttore di Mel che raccoglieva latte di capra biologico e ci ha fatto scoprire la nuova opportunità. Era un'impresa quasi folle per una piccola azienda, significava cambiare completamente lavoro, acquistare nuovi macchinari, irrompere in un settore fino ad allora quasi inesplorato. Un lavoro enorme che ha portato subito grandissime soddisfazioni, grazie anche alla collaborazione con l'azienda che ha fatto la storia del biologico in Italia, la Ecornaturasi: l'azienda madre era qui. Poi abbiamo varcato i confini, presentandoci alla fiera del cibo più importante d'Europa, quella di Colonia in Germania. Ci siamo andati con poca convinzione, ma ci ha aperto gli occhi e da quel momento abbiamo iniziato a esportare, a incominciare dagli Stati Uniti. Oggi esportiamo un quarto della produzione».


È stato difficile per una donna in un ambiente maschilista?
«Lo sto ammettendo a me stessa adesso: questa sensazione l'ho provata fino a quando c'era in azienda ancora il mio ex marito. Era l'uomo e solo l'uomo che prendevano in considerazione quando ci presentavamo insieme, ma oggi è diverso, avverto un grande rispetto che è anche probabilmente frutto dell'immagine che ti sei costruita».


Quali sono i formaggi più venduti e più apprezzati?


«Il più venduto è la semplicissima caciottina di capra, un formaggio base, fatto con caglio non animale e così molto richiesto dai vegetariani. I più apprezzati sono gli ubriacati, per eccellenza il capro col Traminer che ha vinto tutto. La storia dei formaggi ubriacati è fantasiosa: esiste un testo del 1534 di un certo canonico Barpo di Bellemo, pubblicato nel Seicento, un manuale sulle buone prassi agricole. Dedica poche righe ai formaggi, scrive che se lo tratti nella crosta con la feccia ottieni un formaggio più soave. È il primo riferimento in assoluto. Poi c'è la leggenda del tempo di guerra del formaggio nascosto nella vinaccia, anche se questo accadeva non solo in guerra: in tempi di mezzadria si nascondeva spesso il formaggio al padrone sotto le foglie, sotto il fieno, nella fossa. Gli ubriacati sono nati dall'esigenza di nascondere al padrone e alle tasse. Si tratta di una categoria di formaggi in cui ci siamo specializzati anche per le caratteristiche del territorio in cui viviamo; una terra di cantine, una terra di vino, nella quale fare il formaggio è diventato spontaneo, così come fare un prodotto coniugato con diverse uve. Abbiamo anche utilizzato il Marzemino passito e il Refrontolo passito per fare un formaggio ubriacato con il vino all'interno della pasta: solo vino che penetra nella fessurazione del formaggio».


Tra i Perenzin dal fondatore a oggi nessuno mangia formaggio.
«Papà il formaggio lo capiva annusandolo e toccandolo».

Ultimo aggiornamento: 14 Dicembre, 09:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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