«Potrei fare la passerella per il Paradiso»: Nereo e la sua azienda di ponteggi con 100 dipendenti e 17 milioni di euro di fatturato

Lunedì 1 Marzo 2021 di Edoardo Pittalis
«Potrei fare la passerella per il Paradiso»: Nereo e la sua azienda di ponteggi con 100 dipendenti e 17 milioni di euro di fatturato
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Nereo Parisotto, trevigiano, 61 anni, guida la Euroedile di Postioma, che allestisce strutture per il risanamento di ponti, palazzi, viadotti. Con un fatturato di 17 milioni di euro è una delle aziende leader del settore con impegnativi cantieri in Italia.

Dice che con i suoi ponteggi potrebbe fare la passerella per il paradiso. Ci è andato quasi vicino quando ha portato a terra l'Angelo della Basilica del Santo e poi lo ha rimesso in cielo. Dice che ha un cognato speciale al quale si raccomanda ogni sera la sorella più grande, suor Ornella, nel convento di Gemona. 
Nereo Parisotto ha innalzato i suoi ponteggi in giro per il mondo: prima per la Torre dell'Orologio di Venezia, poi per la Fenice da ricostruire; per il Pantheon a Roma e per il Ponte Morandi di Genova. Si considera un uomo fortunato, uno che con la sua terza media serale discute di alta tecnologia con ingegneri del Politecnico. 
Nereo Parisotto, trevigiano, 61 anni, due figlie, guida la Euroedile di Postioma di Treviso, che allestisce ponteggi e strutture per il risanamento di ponti, palazzi, viadotti. Cento dipendenti, fatturato di 17 milioni di euro. Sostiene che potrebbero essere di più, ma non c'è il personale specializzato.

Allora ha deciso di aprire una scuola nella sua fabbrica: «Ci vogliono tre anni per formare bene un operaio. Un mestiere con lunghe trasferte, pesante e pericoloso, una persona nel cantiere movimenta 20 quintali al giorno di ferro. Una volta formati li assumiamo».


In che cosa consiste questo lavoro così specializzato?
«Per il Ponte Morandi a Genova abbiamo fornito le strutture per la costruzione iniziale e, soprattutto, per le rifiniture e l'uscita: alla fine c'è grande svincolo elicoidale e la maggior parte del nostro lavoro si è sviluppata proprio in quel punto. Ma facciamo anche il lavoro che può apparire semplice: montare la struttura per ridipingere un caseggiato e mettere tutti nelle condizioni più comode e sicure possibili».


Venite da una famiglia di meccanici?
«Al contrario, la nostra era una famiglia di braccianti agricoli. Sono l'ultimo dei tre figli di Danilo e Bertilla che coltivavano campi e allevavamo mucche. Andavo a scuola a Postioma, sempre a piedi perché per noi la bicicletta era un lusso. La mia prima biciclettina è stata messa assieme da un amico che andava a recuperare i pezzi in una grande discarica, era di mille colori. Avevo una forte passione per la meccanica e per il lavoro manuale: mi costruivo da solo gli sci, una bicicletta tandem per i tempi dell'austerity, i pattini. Alla scuola media nelle prime classi sono passato per il buco della chiave, d'estate sono andato a lavorare in un calzaturificio a Signoressa, uno dei primi che faceva scarponi non più in cuoio ma in materiale plastico. Avevo 13 anni e il titolare mi mise a una macchina nuovissima a iniezione che faceva la forma in plastica, per assumermi dovette convincere i miei genitori. La licenza media l'ho presa con i corsi serali. Durante il turno di notte facevo girare la macchina al massimo e mi sono messo contro gli altri turnisti. Così mi sono licenziato».


Era un adolescente insoddisfatto e ambizioso?
«Sono andato a lavorare da due fratelli che avevano un'officina che faceva serramenti e ho imparato a saldare davanti a una grande saldatrice a filo, ma mi sentivo stretto e a 18 anni ho lasciato per un'azienda che faceva ponteggi per l'edilizia e aveva una macchina fascinosa. Anche lì nel mio turno la macchina produceva il doppio e sono entrato in conflitto, nessuno accetta che ci sia uno più bravo di te. Alla fine mi hanno spedito in giro fino alla Russia e, quando l'azienda è stata assorbita da un grosso gruppo, mi hanno mandato ad avviare un nuovo stabilimento nella Valle di Ledro nel Trentino, dove avevamo un capannone nuovo e con personale da assumere e macchinari da comprare. Avevo la lezione di mio padre che era un grande lavoratore e non conosceva feste se non la Messa la domenica mattina presto». 


Come è nata la sua fortuna di imprenditore?
«In quella valle trentina incontro una bellissima persona, Oscar, che vendeva in Francia i macchinari che noi usavamo. Arrivava su grandi auto, sempre elegante, un accento francese. Gli propongo di entrare nel ramo vendita e in una settimana ho incominciato la mia carriera da partita Iva, con la mia cartella, a bussare alle porte delle imprese edili per vendere ponteggi elettrici. Per mestiere conoscevo tutti gli aspetti e aggiunsi un'idea: garantire l'assistenza nelle ore in cui il macchinario è fermo. Fu l'idea vincente, l'inizio di una fortuna: il mio primo impiegato, il geometra Andrea Stivanin, è ancora oggi in fabbrica con me. Poi ci siamo ingranditi, ho portato in Italia un tipo di ponteggio particolare e lo feci installare per il restauro della Torre dell'Orologio a Venezia. Abbiamo montato di notte perché la Piazza era sempre affollata, abbiamo incominciato alle 10 di sera e finito alle 5 del mattino. I Mori erano coperti di teli di un blu intenso, non doveva cadere nemmeno un granello di polvere. Fu un successo che mi aprì molte porte».


Pochi giorni fa era il venticinquesimo anniversario dell'incendio del teatro la Fenice
«Siamo intervenuti subito, siamo entrati che c'erano le polveri fumanti e dovevamo montare strutture particolari, coprire completamente quello che restava del teatro e sorreggere i muri pericolanti. A seguire, il progetto del Pantheon a Roma, una grande opera, si prevedeva un ponteggio totale, tutto l'interno doveva essere restaurato. Tubi a non finire, un anno di lavoro, ma significava chiudere tutto, non far entrare turisti. Ho presentato un progetto a spicchi d'arancia montato su ruote motorizzate elettricamente e controllate da un computer. Una struttura di 400 quintali, alta 44 metri, era come il varo di una nave ogni volta che si spostava e si staccava dalla parete. Fu un successo senza precedenti realizzato in diretta, era possibile collegarsi in streaming e vedere cosa facevamo. Aperto per restauro, l'abbiamo chiamato: si potevano fare i lavori senza chiudere ai turisti. Duemila visitatori al giorno».


E il trasloco dell'Angelo del Santo di Padova?
«Dopo il successo del Pantheon, siamo stati sommersi di richieste, si avvicinava l'anno del Giubileo del Duemila e siamo stati impegnati alla Basilica del Santo. A Padova dovevamo preparare la Basilica, con la cupola, il campanile sopra il quale c'è l'Angelo. Dovevamo tirare giù l'angelo che pesa sette quintali e sostituirlo, nel frattempo, con una copia. Le operazioni erano fissate per le otto e mezza, la piazza era già piena, mi sono svegliato che erano passate le otto, prendo la Mercedes e di corsa da Postioma volo letteralmente a Padova, non ho trovato un semaforo rosso, è stato come se ci fosse una linea dritta miracolosa. Ho impiegato 22 minuti! Ci è andata bene anche col Ponte dell'Accademia a Venezia: per consentire la Regata Storica abbiamo tolto tutti i ponteggi in una notte, sotto la pioggia a dirotto».


E la passione per i cavalli?
«Mio padre ha sempre avuto un calesse e una cavallina. La passione mi è rimasta e quando ho potuto, avevo già 45 anni, sono andato in un maneggio a Nervesa per passeggiare a cavallo sul Montello. Poi ne ho comprato uno e sono diventato campione italiano del cross-country che è una disciplina di corsa in campagna saltando quattro ostacoli. Mio padre mi ha lasciato la casa rurale col fienile e qui, d'intesa col Comune, ho costruito un maneggio aperto a tutti e una scuola di equitazione. Mia figlia Tamara si è appassionata ed è diventata campionessa italiana».


L'ultima idea è rivolta agli anziani di Treviso: risciò elettrici condotti da giovani per portare in giro per la città gli anziani, si parte in primavera. Dopo il Covid possono riappropriarsi della città. 

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