Estorsione al commercialista Cavasotto, indagata l'ex consigliera Marcuzzo e tre imprenditori

Mercoledì 9 Novembre 2022
Cavasotto e Norma Marcuzzo

MONTEBELLUNA - «Quelle che mi vengono mosse sono accuse del tutto infondate: non ho mai estorto denaro a Sergio Cavasotto. Ho solo preteso un credito che mi spettava. La querela è scattata dopo le tensioni ereditarie, io non c'entro, sono stata diffamata». Norma Marcuzzo, attraverso il suo avvocato Paolo Salandin, racconta la sua verità sull'inchiesta che ha sollevato un polverone a Montebelluna. L'ex consigliera comunale di 64 anni nonché presidente del Lions Club, è indagata per estorsione a danni del noto commercialista Sergio Cavasotto. Per decenni è stata il braccio destro del padre, Benito Cavasotto, nel noto studio commercilistico. Oltre a quello di Marcuzzo, nel registro degli indagati ci sono altri sei nomi. Tra cui tre imprenditori: il macedone Zejnula Elezi, Pietro Paolo Botter e il calabrese Giuseppe Fabiano e il volpaghese Renato Fontebasso, il falso finanziere che su richiesta della Marcuzzo avrebbe telefonato a Cavasotto caldeggiando la liquidazione delle somme.

E che l'ex consigliera nega categoricamente di aver ingaggiato.

L'INCHIESTA
A dare il via all'inchiesta è stata le denuncia sporta dalla presunta vittima nel 2020 alla guardia di finanza. Stando alle indagini, il professionista nel giro di tre anni e mezzo (tra il 2016 e il 2020) sarebbe stato costretto a versare oltre un milione e mezzo di euro. Secondo la Procura, anche il padre Benito, morto nel dicembre 2016 in un tragico incidente aereo, sarebbe stato bersaglio di intimidazioni. Minacce di cui il figlio tuttora non sa spiegarsi le ragioni. La vicenda affonda le sue radici nel crac di Veneto Banca, con un danno di 10 milioni di euro. Situazione che Benito avrebbe cercato di ripianare in ogni modo. Già nel 2014, infatti, uno degli indagati aveva contattato Cavasotto presentandosi come colui che, a fronte di un pagamento di 4 milioni, sarebbe stato in grado di ammorbidire degli agenti della guardia di finanza facendogli recuperare i soldi persi. Ma era una messinscena, di cui sarebbe caduto vittima anche il figlio Sergio pagandi fatture per operazioni inesistenti che, secondo l'accusa, sarebbe stata la stessa Marcuzzo a predisporre e che sarebbero finiti nelle tasche degli indagati.

LA DIFESA
Oltre alla presunta estorsione in concorso con Elezi e Botter, la Procura contesta alla Marcuzzo anche episodi in solitaria, tra cui due bonifici (uno da 50mila e l'altro da 65mila euro) con causale acconto Tfr: una causale fittizia secondo gli inquirenti poiché l'indennità le era stata liquidata nel 2014. Mentre nel 2017, dietro minaccia di intentare una causa di lavoro, avrebbe chiesto un versamento di 170mila euro. Accuse che la difesa, nella richiesta di Riesame presentata contro il sequestro preventivo di tre immobili e due conti correnti, smonta punto per punto. «La minaccia di azione legale non è estorsiva e se Marcuzzo lavorava ancora presso lo studio nel 2018, aveva maturato un Tfr ulteriore rispetto a quello che si assume ricevuto nel 2014». La ricostruzione mette in luce una «curiosa coincidenza»: la denuncia è stata presentata quando «a seguito delle tensioni ereditarie, la sorella chiedeva conto a Sergio di alcuni esborsi, gli stessi indicati in querela come oggetto di estorsione». Un'accusa di cui non ci sarebbero prove: «Ci si basa soltanto sulle parole di Cavasotto» - conclude Salandin, legale anche di Elezi e Botter. Anche Fabiano, assistito dall'avvocato Fabio Crea, si dice estraneo alle accuse. «Conosce Marcuzzo e Cavasotto, ma solo per il rapporto professionale con il padre Benito e con lo studio commercialistico al quale per vent'anni ha corrisposto i pagamenti delle prestazioni - afferma il legale -. L'accusa di estorsione è infondata, tanto che lo stesso gip non aveva ritenuto di applicare alcun sequestro preventivo».
 

Ultimo aggiornamento: 09:11 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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