​L'ultimo assalto al Paese delle 29 cave per costruire la discarica numero 14

Martedì 23 Luglio 2019 di Angela Pederiva
L'ultimo assalto al Paese delle 29 cave per costruire la discarica numero 14
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PAESE (TREVISO) - Da vent'anni una ditta di inerti prova invano ad aprire la quattordicesima discarica in un paese trevigiano che si chiama Paese e che conta già ventinove cave. Due decenni di richieste e dinieghi, ricorsi e sentenze, contro-impugnazioni e nuovi pronunciamenti, ma alla fine il verdetto è sempre stato lo stesso: no, basta così, quel territorio ha già dato. Una storia di affari e di burocrazia destinata a continuare ancora a lungo, a leggere la delibera con cui la Regione ha disposto di costituirsi ancora una volta in giudizio contro l'ennesima causa promossa dall'impresa, prevedendo che l'incarico al proprio legale possa andare avanti fino a tutto il 2029.
 
LE TAPPEÈ il decreto dello scorso 25 gennaio, con cui Palazzo Balbi pensava di aver chiuso il caso, a riassumere le tappe della tortuosa vicenda. Nel 1999 la Dal Zilio Inerti Srl presenta alla Direzione regionale Ambiente l'istanza di apertura di una discarica per rifiuti speciali a Paese, ma l'ente la rigetta, secondo una decisione confermata nel 2002 dal Tar del Veneto. Ma il Consiglio di Stato nel 2010 accoglie le rimostranze del privato e nel 2012 richiama la Regione all'obbligo di dare esecuzione al dispositivo. Nel frattempo però è cambiata la normativa, così nel 2013 la ditta rivede il proprio piano, spostandolo in un altro sito ma sempre nello stesso contesto territoriale, già ribattezzato nelle aule di Bruxelles e Strasburgo «la pattumiera d'Italia», nelle svariate interrogazioni politicamente trasversali depositate dall'europarlamentare di casa (e oggi consigliere regionale del Pd) Andrea Zanoni e dall'eurodeputata bassanese (tuttora in sella con la Lega) Mara Bizzotto. Sia l'Arpav che la Provincia di Treviso, non a caso, danno parere contrario. È la Sovrintendenza ai beni architettonici e paesaggistici a esprimersi favorevolmente nel 2016, benché con «prescrizioni finalizzate alla mitigazione degli impatti e ad un migliore inserimento nel contesto paesaggistico». Ma nel 2015 la Regione ha approvato il Piano di gestione dei rifiuti, che prevede il divieto di realizzazione di discariche nelle zone di ricarica degli acquiferi, che l'anno seguente viene dapprima bocciato dai giudici amministrativi di primo grado e successivamente riammesso da quelli di secondo.
LA VULNERABILITÀSiccome «il Comune di Paese rientra nelle fasce ad alta vulnerabilità della falda acquifera», sempre nel 2016 il relatore dell'istruttoria propone quindi alla commissione regionale Via parere non favorevole alla compatibilità ambientale, «per supposta improcedibilità dell'istanza». Per avere riscontro a questa ipotesi, gli uffici regionali chiedono un consulto all'Avvocatura, che risponde nel 2017 citando «le numerose pronunce del Consiglio di Stato, adito in grado d'appello dalla Amministrazione regionale, che hanno affermato la validità dell'approvazione del Piano regionale gestione dei rifiuti». Si arriva così al decreto di sei mesi fa, con cui la Direzione regionale Commissioni valutazioni dichiara l'archiviazione definitiva del procedimento amministrativo, «stante l'impossibilità di portare a definitiva conclusione l'iter relativo alla domanda di approvazione del progetto presentata dal proponente».
IL RICORSOMa non finisce qui. Il 29 aprile scorso la Dal Zilio Inerti deposita un altro ricorso al Consiglio di Stato, per chiedere l'ottemperanza della sua stessa sentenza del 2012 ormai passata in giudicato, la quale a propria volta disponeva di dare esecuzione al precedente verdetto del 2010. Attenzione: nelle motivazioni i giudici precisano che, «contrariamente a quanto sembra ritenere la parte ricorrente» e cioè la ditta dei cavatori, gli obblighi che incombono sulla Regione «non comportano affatto il necessario rilascio dell'autorizzazione richiesta, ma soltanto il dovere di riesaminare la relativa istanza e di rideterminarsi su di essa». Cioè proprio quello che Palazzo Balbi riteneva di aver fatto con il decreto del 25 gennaio 2019, ribadendo l'ennesimo no. Evidentemente, però, l'azienda non si rassegna. Così la Giunta regionale ha dovuto formalizzare l'incarico di co-patrocinio e domiciliazione all'avvocato Andrea Manzi di Roma, con previsione di spesa di 3.647,80 euro e di durata dell'incarico fino al 1° gennaio 2030...
Angela Pederiva
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