Quel diario del soldato veneto e Il barbiere dei lager dimenticati

Venerdì 11 Dicembre 2020 di Chiara Dall'Armellina
Quel diario del soldato veneto e Il barbiere dei lager dimenticati

Un libro di Vittorio Pucci attraverso il diario di un soldato veneto riporta alla luce la drammatica odissea di 30mila militari italiani in Francia, prigionieri dei tedeschi dopo l'8 settembre 1943 e poi dei francesi in condizioni ancora più dure.


LA STORIA
«Questa è stata la triste avventura di un uomo che ha dovuto, senza alcuna sua colpa, vivere durante la seconda guerra mondiale in campi di concentramento, dopo essere stato fatto prigioniero dalle truppe tedesche e poi anche da quelle francesi». Ci sono pagine della II guerra mondiale poco note, avvenute in concomitanza a eventi che inevitabilmente hanno avuto più risonanza: dalla Shoah alle bombe nucleari di Hiroshima e Nagasaki. Il barbiere del Lager. Il Diario di Domenico Grando e la storia dei soldati della IV Armata internati da Hitler e prigionieri di De Gaulle (1940-1945), scritto dal professor Pier Vittorio Pucci, edito da Istresco, riporta alla luce la storia di uno dei 60mila soldati italiani abbandonati al loro destino dopo l'armistizio dell'8 settembre del 1943, imprigionati nei lager nazisti in Francia e finiti in 30mila internati in quelli francesi insieme ai tedeschi, nonostante alcuni di loro avessero combattuto con la resistenza francese.


L'occasione per ritornare su una pagina tragicamente surreale della Storia dopo il 1943 nasce dalla testimonianza di un giovane della provincia di Treviso, Domenico Grando, che scrive un diario della prigionia pubblicato in toto in appendice al libro. Dalle pagine di quello che appare come un memorandum, Pucci parte dalla personale vicenda di questo soldato di Codognè per ricostruire cosa avvenne ai prigionieri italiani d'Oltralpe, raccogliendo testimonianze, documenti e fonti tratte dai materiali desecretati dall'Archivio Vaticano e dal carteggio degli ambasciatori, da cui emerge il loro ruolo come merce di scambio nella ridefinizione dei confini territoriali all'indomani della vittoria degli Alleati.


IL TRADIMENTO

Dal 1940 parte della Francia è occupata dalle forze dell'Asse, una pugnalata alla schiena che rompe la sorellanza tra due nazioni legate alla stessa matrice culturale, tra le quali un tradimento di questa portata non è accettabile.

Nel settembre 1942, il 19enne Domenico Grando viene chiamato alle armi: destinazione Reggio Calabria. Dice di saper fare il barbiere, mestiere che ha visto praticare dal padre, e con questa mansione viene inviato a Tolone alla Divisione Fanteria Taro sotto il comando del generale Trevisoi. Lì conosce altri due soldati veneti, Antonio Calderolla di Collalbrigo e Armando Pasqual di Grisolera. La felicità per quella destinazione lontana dal fronte si trasforma in inquietudine perché i francesi e gli stessi italiani immigrati mal sopportano l'imposta presenza delle truppe del Regio Esercito.


La situazione cambia drasticamente l'8 settembre 1943, mentre la divisione si trova isolata a Nizza. Da qui inizia il racconto di Grando e l'impatto con i tedeschi, diventati da alleati all'improvviso nemici: «In poco tempo arrivarono con una serie di autoblindo ed armi spianate contro di noi». Dopo averli rinchiusi in una scuola, offrono loro un'alternativa al lager: aderire alla Repubblica Sociale Italiana e combattere di fatto contro i connazionali. Ma nessuno accetta. Al generale Trevisoi viene concesso l'ultimo servizio di barba e capelli chiamando in causa Grando, che racconta dello sfogo del superiore: «Hai visto che fine abbiamo fatto! Neppure io mi sarei aspettato un tradimento del genere da parte dei miei superiori. Tu sai bene che alcuni giorni fa eravamo a Nizza dove io ricevetti l'ordine di portarvi verso l'interno della Francia con il pretesto di radunare tutta la divisione, ma per me tutto questo l'hanno fatto per metterci nel sacco poiché da Nizza potevamo invece andare verso la nostra Italia». 


INTERNATI

Dopo l'ultimo contatto con il generale, i militari vengono internati nei campi di Palavas e Les Crès, ma non deportati poiché i nazisti volevano forza-lavoro lì, dove servivano opere per scongiurare uno sbarco degli Alleati. Ci sono altri tentativi per farli arruolare con loro, ma quasi tutti restano saldi nelle proprie convinzioni e pertanto vengono puniti con la privazione dei pasti. Sono momenti difficili, poi la situazione si allenta. Quando i nazisti scoprono che Grando è un barbiere, lo chiamano al loro servizio e per lui è una svolta: la ricompensa si traduce in cibo, la cosa più desiderata.


Il 19 agosto 1944 i francesi hanno la meglio sui tedeschi: «Per noi sembrava la liberazione ma purtroppo non fu così, perché con i francesi ci aspettava qualcosa di peggio». Il 16 ottobre i soldati italiani, alcuni dei quali partecipano alla resistenza francese, vengono rastrellati e internati insieme ai tedeschi perché, a differenza di inglesi e americani che riconoscono l'Italia come cobelligerante, la Francia di De Gaulle, memore della pugnalata, vede ancora nell'Italia un nemico. Giuridicamente l'arresto è illegittimo, ma l'Italia non ha il potere per trattare e i soldati, rifiutando di entrare nel Genio civile o nella Legione straniera, si trovano nuovamente costretti ai lavori coatti in condizioni da fame. Domenico e i suoi compagni vengono internati a Larzac con i tedeschi, in violazione della Convenzione di Ginevra e dopo due mesi nel campo di concentramento Joffre di Rivesaltes, nei Pirenei orientali: il Campo della Morte. «Uno spettacolo agghiacciante () quelli che non erano morti sembravano cadaveri viventi, solo scheletri».


Qui si consuma una feroce prigionia, fatta di condizioni disumane e lavori stremanti. Intanto la diplomazia è al lavoro per risolvere la situazione dei 30mila soldati, ma non è facile. La Francia vuole barattarli con la Val d'Aosta, ma prevale l'influenza dell'Urss, anch'essa interessata ai confini italiani, e nel luglio del '45 l'ambasciatore italiano a Mosca viene rassicurato sull'atteggiamento favorevole di Stalin per una pace non vendicativa. Domenico viene rimpatriato tra gli ultimi, il 30 novembre 1945, solo grazie all'intercessione di un frate italiano, e continua per tutta la sua vita a incontrarsi con i compagni veneti che hanno condiviso la sua terribile sorte.

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