Dan Peterson: «Il crollo del ponte di Genova? Colpa di Morandi, non di Gilberto»

Venerdì 26 Ottobre 2018 di Mattia Zanardo
Dan Peterson: «Il crollo del ponte di Genova? Colpa di Morandi, non di Gilberto»
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TREVISO - «Incolpare Gilberto Benetton del crollo del ponte Morandi a Genova è incredibile. La colpa è di Morandi, il progettista, e basta. Cosa ci volete fare, oggi la gente spara a zero gratuitamente su tutti e fa polemica su tutto». Lui, Dan Peterson, il coach per antonomasia del basket italiano, non ha mai avuto paura di esprimere anche opinioni scomode.

 


Ma il fiume di accuse e offese, scatenatosi sui social dopo la morte del terzo dei quattro fratelli fondatori dell’impero imprenditoriale trevigiano, non può tollerarlo. Peterson era ieri nella Marca. Dopo aver essere stato uno degli allenatori più vincenti e famosi dell’epoca d’oro della pallacanestro tricolore, dopo i successi come commentatore televisivo e protagonista di pubblicità, con il suo inconfondibile slang, oggi ad 82 anni continua a motivare squadre e  uomini. Solo non più in panchina, ma come consulente per aziende ed enti. In questa veste, su invito di Ascotrade, braccio commerciale del gruppo trevigiano dell’energia Ascopiave, al Bhr Hotel ha arringato seicento imprenditori del Triveneto e della Lombardia, spiegando loro come, di fronte tecnologie e abitudini in evoluzione repentina, occorra essere pronti a cogliere e affrontare continui cambiamenti. Inevitabile, però, parlare con lui della figura di Gilberto Benetton.
Coach, lei l’ha conosciuto?
«Ho conosciuto sia Gilberto, sia Luciano, e anche Giorgio Buzzavo. Non sono certo io a dover parlare dei Benetton industriali: però vedo come hanno lavorato. Basta una parola sola: qualità. Per fare solo un esempio, sono andati in Argentina a prendere la lana per i loro maglioni, non si sono fermati alle prime pecore trovate dietro a casa. Questo vuol dire lavorare con serietà».
Gilberto Benetton è stato anche un protagonista nel basket e nello sport in generale.
«Certamente. Per capire cosa hanno rappresentato lui e la sua famiglia nel basket italiano, basta pensare a chi hanno portato e fatto crescere qui a Treviso. Prendiamo Maurizio Gherardini: è arrivato che era un giovane dirigente da Forlì, ha vinto scudetti, fatto due final four di Eurolega, è diventato il primo general manager non americano di una franchigia Nba. Giocatori? Cito Andrea Bargnani: magari non ha avuto la carriera che ci si aspettava, ma è stato prima scelta assoluta in Nba. E gli allenatori passati da qui sotto la sua gestione: Mike D’Antoni, Ettore Messina, Zelimir Obradovic, David Blatt, solo per fare qualche nome. Ma pensiamo anche a Verdesport, alla Ghirada o al Palaverde».
Un ricordo?
«Siamo stati eletti insieme, nel 2012, nell’Italia Basket Hall of fame del basket. Quando ha deciso di lasciare l’attività di vertice, è stato un lutto per tutto il mondo del basket. E lo è ancora oggi. Mi ha spezzato il cuore vedere i Benetton lasciare, perché tutto quello che hanno fatto nella pallacanestro aveva stile da prima classe».
Una decisione dovuta forse anche alle polemiche per la penalizzazione sul caso Lorbek.
«La Benetton Treviso, in quella circostanza commise sicuramente una leggerezza, tesserando il 19esimo giocatore. Ma io resto convinto di una cosa: i dodici punti di penalizzazione, togliendo di fatto la possibilità di disputare l’Eurolega, furono una vendetta di Siena contro la sua maggior rivale. E, secondo me, Gilberto ha pensato: Questo è il mondo del basket? No grazie, non voglio più starci”».
Ci possono essere ancora proprietari – mecenati come Benetton?
«Penso sia difficile ci siano ancora patron come lui o Bogoncelli, Borghi, o in tempi più recenti, Seragnoli a Bologna. Resta il solo Giorgio Armani. Adesso forse il segreto è quello che è stato costruito a Varese e proprio a Treviso: un consorzio con tanti soci».
Ultimo aggiornamento: 09:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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