Soldi per la ricerca sul cuore artificale: investitori truffati, in cinque a processo

Giovedì 17 Dicembre 2020 di Denis Barea
Iniziato il processo per truffa relativo alla ricerca sul cuore artificale

Un cuore artificiale come ultima frontiera della scienza medica. E per portare avanti la ricerca servono soldi, tanti soldi che sarebbero stati restituiti, una volta completata la sperimentazione, con interessi che arrivavano al 30%. Ma quello che veniva proposto come un investimento “etico” si sarebbe dimostrato in realtà un panzana e a molti di quelli che hanno dato il proprio denaro credendoci non solo non sarebbero stati versati gli interessi, ma al momento delle denunce, relative al periodo tra il 2018 e il 2019, non sarebbe stato restituito neppure il capitale originariamente versato.
LE CONTESTAZIONI
È di abusivismo nell’esercizio dell’attività di promotore finanziario il reato di cui devono rispondere cinque persone, residenti tra la provincia di Treviso, Venezia e Pordenone. Si tratta di Luciano Bianchin, 58enne di Crocetta del Montello, Luca Padovan, 31enne di Conegliano, Alessandro Pavan, anche lui 31enne di Montebelluna e Riccardo Barcolari, 27enne di Venezia e Igor Sarcinelli, 39enne di Spilimbergo, in provincia di Pordenone. Gli imputati avrebbero proposto ad almeno dodici persone (che si sono costituite come parti civili) di investire nell’attività di ricerca scientifica della Ellebi Fin Llc, una società con sede nel Dalaware. Non a caso: da quelle parti ci sono registrate più di 285mila imprese, parte delle quali sono società fantasma. Un “bengodi” che in un solo edificio di Wilmington, la più popolosa città dello stato, ospita un numero quattro volte superiore ai 71mila abitanti del centro abitato. Sotto questo aspetto il Delaware viene considerato da molti come il paradiso fiscale interno degli Stati Uniti. Il reato prospettato nel processo in corso a Treviso sembrerebbe confinare con la truffa.
LA SOMMA
In tutto i cinque, in molti casi conoscenti delle vittime, avrebbero raggranellato la bellezza di 240 mila euro, più altri soldi che sarebbero stati versati sotto forma di assicurazione.

Ai malcapitati che hanno creduto alla bontà dell’iniziativa promettevano interessi da capogiro, il 10 per cento il primo anno, il 20% il secondo e il 30% il terzo, ma le cifre messe sul piatto hanno faticato ad arrivare e quando sono state saldate la liquidazione è avvenuta a fronte della minaccia legale. E comunque mai tutta. Per la maggior parte infatti il capitale originale è rimasto una chimera e tutt’oggi, a fronte delle intimazioni alla sua restituzione, arrivano mail che spiegano come vi sia solo un piccolo ritardo e che presto i soldi arriveranno. Per la Procura di Treviso non si sarebbe trattato comunque di dazioni liberali, quanto piuttosto di un investimento a cui la parti offese venivano sollecitate. Ma nessuna delle persone implicate avrebbe ottenuto la regolare iscrizione all’albo. 

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