Crisi del terziario, allarme dell'Ascom: «Entro l'anno chiuse 4mila imprese»

Giovedì 8 Aprile 2021 di Paolo Calia
Il commercio in crisi a causa del Covid19

TREVISO - La fotografia del terziario trevigiano nel 2020 è sconfortante: 390 aziende sono sparite, altre settemila non sono mai nate. E 1500 sono definite “zombie”, morti che camminano: virtualmente fallite ma ancora aperte perché, di questi tempi, anche chiudere un’attività ha un costo tra tfr da pagare ai dipendenti e fornitori da saldare. In tanti preferiscono restare virtualmente aperti per andare avanti grazie ai ristori ma, di fatto, commercialmente morti. E le previsioni per il 2021 non promettono niente di buono. Considerando i 1500 “zombie”, Ascom ipotizza che entro la fine dell’anno chiuderanno in tutta la provincia 4mila imprese del terziario (sul oltre 44mila) e svanirà almeno il 18% dei posti di lavoro: «Di quanti dipendenti stiamo parlando? In valori assoluti non lo so. Ma tanti», allarga le braccia Pierluigi Ascani, responsabile dell’agenzia “Format” che ha condotta la ricerca. «Siamo un settore terremotato», sottolinea il commissario Unascom Tullio Nunzi. E poi i fatturati: mediamente sono calati del 35% con una perdita di solo valore aggiunto pari a 1,6 miliardi di euro.
IL COVID
La basa di partenza è, ovviamente, il Coronavirus: «Quella di Treviso è la provincia veneta più colpita come contagi. E la settima in Italia», precisa Ascani. Questo dato si è trascinato dietro un vortice di conseguenze. La prima sono le imprese sparite nel solo terziario nel 2020: 390 (il saldo negativo tra quelle chiuse e quelle fondate). Ma, come detto, 1500 sono sospese: attive però di fatto fallite, in attesa di capire come evolverà la situazione. Ovvio che non potranno reggere a lungo. Divise per settori, queste imprese ormai finite sono 850 nel commercio, 250 nel turismo e 400 nel variegato mondo dei servizi. «Temiamo - ammette Ascani - che a fine 2021 le imprese chiuse possano essere circa 4mila». I settori più colpiti sono turismo, ristorazione, moda «Che era in crisi già prima del Covid per altre dinamiche». La stragrande maggioranza di queste chiusure sono nel commercio, segno dell’agonia alla quale le imprese del settore sono soggette ormai da un anno. «Le misure prese per contrastare la pandemia hanno coinvolto fortemente il territorio della Marca, soggetto a prolungati periodi di chiusura delle attività che hanno annichilito la ripresa della fiducia registrata nei mesi estivi». E Fabio Capraro, presidente di Ascom Treviso, pone la questione fondamentale: «In queste condizioni, chi avrà ancora il coraggio di fare impresa? Servono interventi seri, leggi importanti per salvare l’attività commerciale di prossimità vera anima dei nostri quartieri e delle nostre città».
I MANDAMENTI
Oltre che i numeri, lo studio di “Format” ha tastato il polso degli imprenditori constatando un clima di depressione generale: tre su quattro ritengono che la situazione sia peggiorata rispetto a marzo 2020, quando è ufficialmente scoppiata la pandemia e indicano come la causa di tutto sia stato l’evidentissimo calo dei consumi: la gente non si muove per rispettare le norme anti contagio e, di conseguenze, spende molto meno. Senza contare che i problemi di lavoro, di stipendi da difendere e spese da fronteggiare, riguardano trasversalmente tutti i settori. La situazione più grave sono quelle del mondo della ristorazione che registra nel 2020, rispetto al 2019, un calo di fatturato del 63% e della ricezione turistica con il 66% in meno dei ricavi. Le più in difficoltà sono le imprese del mandamento di Vittorio Veneto e di Castelfranco, Treviso e Oderzo reggono appena un po’ di più. Per le imprese vittoriesi i ricavi sono calati del 37%; per le castellane del 35%; per le trevigiane del 33% e per le opitergine del 32%. 
IL LAVORO
Il tracollo dei fatturati non può che avere conseguenze anche sui posti di lavori. Nel 2021 è previsto un calo di addetti pari al 18%, con punte di oltre il 40% nella ristorazione e nella ricezione turistica. «L’introduzione di ammortizzatori a difesa del lavoro ha solo in parte limitato l’impatto della crisi sull’occupazione», spiega Ascani. E sommando tutti questi fattori, per lo più negativi (unico settore che può sorridere è quello della vendita di prodotti alimentari al dettaglio che è cresciuto del 4%) si arriva a una considerazione: oltre il 60% degli imprenditori è convinta che anche questo 2021 sia un anno perso. «Le imprese - conclude Ascani - ritengono che non ci sia più margine per poter recuperare».
 

Ultimo aggiornamento: 11:05 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci