Coronavirus. In questi nove mesi da parte degli esperti ne abbiamo sentite di tutti i colori. Fra le tante, che il Covid era «clinicamente morto», ma anche che il patogeno è «tornato cattivo». Di sicuro c'è stata una prima ondata e ora ne è in corso una seconda: con quali differenze in Veneto, sul piano dei contagi, dei ricoveri e dei decessi? Al netto delle valutazioni che dividono la comunità scientifica, proviamo a mettere in fila i numeri forniti dal Servizio epidemiologico regionale e registri di Azienda Zero, confrontando i dati relativi a sette indicatori fra i due peggiori periodi finora registrati dall'epidemia, cioè quello che ha portato al picco di primavera (dal 17 al 31 marzo) e quello che sta conducendo all'apice di autunno (dal 1° al 15 novembre).
Seconda ondata
Partiamo dai nuovi casi rilevati nell'arco dei quindici giorni considerati per ciascuna delle due fasi.
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Ricoverati
Invece dentro l'ospedale, il divario di genere si ribalta e si allarga, denotando una marcata prevalenza di ricoveri maschili rispetto a quelli femminili, sullo sfondo di un tempo medio di degenza che si è notevolmente accorciato. «Dalle prime stime conferma Russo siamo passati da 14-21 a 7 giorni, anche se è una tendenza che dovrà essere confermata nel medio-lungo periodo. Sulla riduzione potrebbero aver inciso i protocolli di cura, diventati più efficaci con il passare dei mesi. Ma questa è una riflessione che dovrà essere fatta a livello non tanto regionale, bensì nazionale ed europeo».
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Comunque sia, i nuovi ingressi nell'arco delle due settimane sono aumentati: da 2.296 a 2.408. Le donne si mantengono quasi la metà degli uomini: 864 a 1.432 in marzo, 927 a 1.481 in novembre. L'età media complessiva è salita da 69 a 70,1 anni, con i maschi che nella prima ondata venivano ospedalizzati a 67,4 e le femmine che nella seconda entrano in corsia a 72,2.
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Anche i casi più gravi, cioè quelli dei malati che da casa finiscono direttamente in Terapia intensiva, risultano in crescita: da 105 a 130, sempre con una netta predominanza della componente maschile su quella femminile (79 a 26, 95 a 35). Il fenomeno interessa una fetta di pazienti leggermente meno anziana: l'età media è infatti diminuita da 67,8 a 66,1 anni.
All'insegna dell'incremento sono pure i ricoveri in area non critica: da 2.191 a 2.278 degenti, con un'età media salita da 69 a 70,4 anni, fra gli estremi degli uomini che in marzo entravano in Malattie infettive o in Pneumologia a 67,4 e le donne che a novembre ci arrivano a 72,4.
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Succede però che le condizioni cliniche possano aggravarsi e che un ricoverato debba essere trasferito dal reparto di ingresso per essere intubato, così come che il quadro possa poi migliorare e che sia possibile lasciare l'area critica. Interessanti sono dunque i dati riguardanti i pazienti complessivamente entrati e usciti dalla Terapia intensiva, perché mostrano che questi flussi interni agli ospedali si sono ridimensionati nel corso del tempo. I ricoverati entrati erano 420 negli ultimi quindici giorni di marzo e sono diventati 302 nella prima quindicina di novembre, così come quelli usciti sono passati da 260 a 188. Viene ribadita l'inferiorità numerica delle donne rispetto agli uomini, mentre lievi sono le oscillazioni anagrafiche, attorno ai 64-65-66 anni fra la prima e la seconda ondata. «Il virus riassume il direttore Russo si conferma comunque più pericoloso negli ultra 65enni».
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Vittime
Stabile è rimasta anche l'età media delle vittime: 81,5 anni in primavera e 81,9 in autunno, con i decessi maschili sui 79,4-79,9 e quelli femminili sugli 84,8-84,2. Il numero delle vittime è però calato: da 483 a 429. Almeno fino a domenica, perché poi c'è stata una nuova impennata.