Coronavirus, doppia quarantena per il manager: «Ma io mi sento più sicuro in Cina»

Lunedì 16 Marzo 2020 di Andrea Zambenedetti
Il manager Paolo Romano
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 «In Cina? Mi sento più al sicuro che in Italia». Paolo Romano, manager 35enne, originario di Codognè, che lavora alla Pai di Domegge di Cadore ha appena finito la sua seconda quarantena nel giro di un mese. La prima in Italia, per estrema precauzione, e la seconda di 14 giorni nel Paese del dragone.
IL RITORNO IN PATRIA
Il manager è arrivato in Italia il 13 gennaio, per avviare il training con la nuova azienda. La Pai, appunto. «Nessuno aveva idea del coronavirus, le informazioni erano molto frammentarie - spiega - dopo una settimana che ero in Italia è iniziato il tam-tam. Voci incontrollate che rimbalzavano da un telefonino all’altro. Con il passare dei giorni la situazione è peggiorata fino a quando hanno chiuso tutto a Wuhan. Io dovevo tornare in Cina il 4 febbraio, volando su Hong Kong». Un rientro posticipato, volontariamente, più volte.
LA QUARANTENA IN ITALIA
Quando la famiglia era in Italia, diradando a scopo precauzionale le uscite, non sono mancati gli episodi ai limiti della discriminazione o della paranoia. «Eravamo al supermercato, stavamo facendo la fila con mia moglie e mio figlio di quattro anni. All’improvviso una signora che era in coda con noi ha portato via il suo bambino lontano da noi. Mia moglie è cinese ed evidentemente i suoi tratti somatici hanno spinto questa persona a reagire in questo modo, per i timori legati alla questione coronavirus».
IL VIAGGIO DI RIENTRO
Il 27 di febbraio la decisione di tornare a casa. «Più che controllare i numeri cinesi guardavo il trend. Notavo un miglioramento e questo mi ha spinto a tornare in Cina. A quel punto però ci siamo preoccupati del pericolo di contagio in aereo. Abbiamo fatto scalo a Dubai e siamo arrivati ad Hong Kong. Un viaggio della speranza durato 36 ore, a fronte delle 20 che si impiegano di solito.
L’ARRIVO IN CINA
«Quando siamo arrivati qui abbiamo trovato tanta gente in giro, tutti con la mascherina. Ci hanno sequestrato i passaporti e non è stato bellissimo. Poi ci hanno caricato su un autobus dove eravamo solo noi. Probabilmente il combinato che ci fosse un italiano e una donna della provincia di Hubei, la provincia di Wuhan, ha alzato il livello di sicurezza. Erano tutti con la tuta blu e i kit per le contaminazioni. Ci hanno fatto firmare milioni di dichiarazioni che stavamo bene e misurato la temperatura più e più volte, poi fuori dalla dogana siamo stati interrogati». 
I TIMORI
È a quel punto che il manager si è preoccupato che il suo comune di origine “Codognè” venisse scambiato per uno dei focolai “Codogno”. «Ho sempre detto che arrivavamo da Treviso e questo è bastato». Così è stato possibile rientrare a Shenzehen con il taxi. «Dopo due giorni che eravamo in un regime di sorveglianza blanda (potevamo fare la spesa e gettare la spazzatura) siamo stati contattati dall’ufficio igiene - riprende - ci hanno detto di fare la spesa solo con consegna a domicilio e che bastava mettere l’immondizia fuori dalla porta che qualcuno si sarebbe preoccupato di ritirarla. Ora anche quei giorni sono passati: mi sento più al sicuro qui che in Italia».
Ultimo aggiornamento: 17 Marzo, 07:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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