Coronavirus, «a Londra viviamo come in un film dell'orrore»

Mercoledì 1 Aprile 2020 di Alessandra Vendrame
Coronavirus, «a Londra viviamo come in un film dell'orrore»

TREVISO La vita dei trevigiani d'oltremanica al tempo del coronavirus, tra i timori e le perplessità della gestione dell'emergenza da parte del premier britannico Boris Johnson, anche lui contagiato e da giorni in quarantena, è iniziata con la teoria sull'immunità di gregge e continuata con una frase choc: «perderete molti dei vostri cari». Fino alla retromarcia e all'annuncio repentino di dieci giorni fa di chiusura di uffici, scuole, pub e ristoranti. E la messa in guardia di un ulteriore inasprimento delle misure. Sono 2.500 i trevigiani di casa Londra, una tra le più grandi comunità della Trevisani nel mondo all'estero, l'associazione portabandiera degli emigrati della Marca fondata nel 1973 da don Canuto Toso. 

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IL RITRATTO
Per la maggior parte sono giovani di età compresa tra i 30 e i 40 anni: «Avendo l'Italia vissuto prima del Regno Unito l'emergenza coronavirus, fino a poche settimane fa gli inglesi guardavano al contagio nel nostro Paese come a una specie di film dell'orrore -spiega Matteo Dalle Fratte, presidente della sezione londinese di Trevisani nel mondo, di mestiere cantante lirico oltre che italian language coach trainer per curare la pronuncia dell'Italiano dei cantanti nei teatri di Londra, da fine febbraio bloccato nella sua casa trevigiana- Ora ce l'hanno in casa. Eppure fin dall'inizio molti italiani avrebbero preferito essere qui piuttosto che a Londra. Non solo per stare in famiglia, ma perché il sistema sanitario veneto è un punto di forza. Un'eccellenza mondiale che ci rende più sicuri. In Inghilterra la sanità resta sì gratuita, ma il pragmatismo ha portato a tagliare molti servizi. Mentre in Italia l'importanza del valore umano, che è proprio della nostra cultura, ancora resiste alla logica del budget». 

IL CAMBIO DI ROTTA
In quanto alle immagini delle città italiane deserte, che da settimane stanno ormai galoppando sui social, dopo l'orrore iniziale gli inglesi hanno ricominciato a posare gli occhi sulla bellezza riscoperta dell'Italia: «Si sono ricordati di quanto l'Italia sia bella -dice Dalle Fratte- Come avevano raccontato gli scrittori inglesi del romanticismo».
 
IL REPORTAGE
Dal cuore di Londra, per la prima volta non brulicante di vita ma vuota, giunge pure uno speciale diario di viaggio nella capitale britannica. A raccontarlo è Filippo Bortolato, vice presidente dell'associazione Trevisani nel mondo a Londra, di professione autista dei red buses, i famosi autobus a due piani londinesi: «Il venerdì sera quando Boris Johnson ha fatto scattare per la prima volta le restrizioni, il centro di Londra era già completamente vuoto. Percorro tutti i giorni la città a bordo del mio autobus e davvero così non l'avevo mai vista. I locali del centro erano tutti aperti eppure dentro non c'era nessuno. I pub frequentati dai giovani nella zona tradizionale della movida di Shoredich erano completamente vuoti. Gli inglesi il venerdì sera si ritrovano nei pub per bere insieme. Nei luoghi più frequentati c'è sempre la bolgia. Ora anche la Londra che corre si è fermata. Una cosa mai vista prima. Che ci regala forse la possibilità di riprendere contatto, umanamente parlando, con la parte più profonda di noi stessi».
 
LA PAURA
Strada facendo, dai quartieri periferici fino al cuore pulsante della city, il bus driver trevigiano Filippo ha visto cambiare negli ultimi dieci giorni il peso delle news di salute pubblica e salire il livello di guardia delle restrizioni direttamente dagli schermi dei video pubblicitari delle fermate degli autobus: «Siamo passati dal semplice avvertimento lavatevi le mani all'avviso dei controlli da parte della polizia e delle multe.

Mentre prima tutto andava avanti come se non stesse succedendo nulla». E se nei quartieri periferici l'occhio vigile dei controlli sembra essere più lento a prendere il largo, nel cuore di Londra che non batte più come prima anche la povertà per la prima volta mostra il viso di chi piange. Perché l'uso del contante e delle monete è vietato dalle restrizioni. Con ripercussioni anche sull'elemosina: «Ho visto per la prima volta giovani homeless piangere al riparo sulle panchine delle fermate degli autobus». 

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