Baristi e ristoratori in rivolta: «La Fase due è soltanto un bluff»

Martedì 28 Aprile 2020 di Mattia Zanardo
Baristi alla canna del gas
TREVISO Quando ormai quasi intravedevano l’agognato traguardo, il nuovo decreto governativo ha rinviato ulteriormente la fine del lockdown per le attività commerciali: salvo cambi in corso d’opera, i negozi potranno riaprire il 18 maggio, mentre bar e ristoranti dovranno attendere un altro mese abbondante, fino al primo giugno. Le parole del premier Giuseppe Conte, domenica sera, hanno rappresentato una doccia fredda per anche i commercianti trevigiani. Federico Capraro, presidente provinciale di Confcommercio, si fa interprete della delusione e della preoccupazione della categoria. «La fase due? Non c’è e non esiste – ribadisce il leader dell’associazione imprenditoriale del terziario -. E’ un bluff. Siamo ancora in fase uno. Ce lo conferma il nuovo decreto che, di fatto, rimarca la distanza dalle nostre imprese e che dimentica la disperazione di chi si trova di fronte ad un altro lungo ed incomprensibile blocco. I provvedimenti economici messi in atto sono solo dei palliativi e non delle risposte concrete». Al di là dei vari scenari finora disegnati, secondo Capraro, l’unico intervento finora operativo a sostegno delle ditte del settore è quello relativo alla cassa integrazione, che ha consentito di mettere in sicurezza i lavoratori.
GRAVI PREOCCUPAZIONI
La preoccupazione (“Condivisa in primis dai nostri collaboratori stessi”) è che al termine delle settimane di ammortizzatore le aziende non siano sopravvissute. «Un rischio drammatico per il tessuto produttivo che da Roma sembrano non capire - rincara il massimo rappresentante di Confcommercio - Le nostre imprese sono allo stremo. Chiediamo, pur nel rispetto della salute pubblica e della sicurezza di cui siamo i primi responsabili, la riapertura immediata del dialogo e maggiore libertà alla Regione che ha dimostrato di conoscere imprese, cittadini, territori». Tra i più in sofferenza, il comparto dei pubblici esercizi. Il provvedimento di Palazzo Chigi ha dato la possibilità di fornire cibo per asporto, peraltro già prevista in Veneto da alcuni giorni, in seguito all’ordinanza regionale del 24 aprile. Una misura che si aggiunge alla consegna a domicilio e che la stessa Confcommercio aveva sollecitato. Troppo poco, tuttavia. «Non vorrei passasse l’idea che queste formule possano costituire una nuova modalità di ristorazione – specifica Capraro -. I ristoranti non nascono per questo: oggi chi può si sta organizzando per rispondere soprattutto a coloro che, tornando al lavoro nelle fabbriche, hanno l’esigenza di trovare un pasto nel modo più semplice e sicuro. E’ un lumicino per mantenersi in vita, non certo una soluzione». La Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi, oltre 4mila associati nella Marca, stima che asporto e consegne a casa valgano, in media, non più del 20% del giro d’affari. «Prima dell’emergenza sanitaria, il 5% delle ditte praticava le consegne – nota la presidente provinciale Dania Sartorato -. Con il lockdown si è passati ad un 10-15%, ma comunque la percentuale rimane limitata. L’asporto è una finestra di operatività in più, ma l’uno e le altre costituiscono una quota marginale di quanto si potrebbe fare soprattutto in un periodo come questo, con tanti ponti e un clima fantastico: senza l’epidemia avremmo potuto avere davvero una stagione eccellente».
RIPARTENZA PIU' LONTANA
aristi, ristoratori e gestori di locali vedono dunque allontanarsi ancora l’orizzonte di una ripartenza. Sartorato non nasconde le difficoltà per una platea crescente di realtà: “L’11 di marzo ci è stata ordinata la chiusura, doveva durare due settimane, in realtà finirà per essere di poco meno di tre mesi. La situazione va progressivamente peggiorando, più passano le settimane più è duro sostenere questa condizione con l’arrivo di utenze da pagare, affitti e altri costi”. A complicare le cose, l’incertezza, da un lato, sulle prescrizioni con cui potrà avvenire la riapertura (“L’invito ai colleghi è di fare molta attenzione ad acquistare certi dispositivi, come divisori in plastica, della cui effettiva necessità oggi non c’è alcuna sicurezza”) , dall’altro, sulla risposta dei clienti. Per questo la Fipe ha scritto ai sindaci chiedendo il sostegno per una campagna di informazione e sensibilizzazione tra i cittadini.
Ultimo aggiornamento: 11:12 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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