Coronavirus, chiudono 58mila imprese: 193mila lavoratori sono ora a casa

Martedì 24 Marzo 2020 di Mattia Zanardo
Imprese chiuse a Treviso
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TREVISO - Finora lo stop era avvenuto a macchia di leopardo. Ora diventa generalizzato: entro domani la maggior parte della Marca produttiva si fermerà, come stabilito dal recente decreto governativo, per contribuire a limitare il propagarsi dell’epidemia da coronavirus. Poco meno del 60 per cento delle aziende della provincia chiuderà temporaneamente stabilimenti, laboratori e uffici, in cui lavorano 193mila addetti: la sospensione dell’attività, secondo i calcoli della Camera di commercio sulla base delle categorie individuate dal Dpcm, e salvo deroghe, infatti riguarda 47.138 sedi di impresa trevigiane e 10.887 unità locali dipendenti, ossia filiali controllate da una “capogruppo” esterna. In totale, 58.025 realtà (i dati si riferiscono al 31 dicembre scorso). Proseguiranno ad operare, come noto, i servizi essenziali e le imprese di settori strategici, in primis quelli agroalimentare e chimico-farmaceutico, più tutti i comparti ad essi funzionali, dai trasporti all’energia, dalle manutenzioni agli imballaggi. Il maggior problema, dopo l’annuncio del premier Giuseppe Conte, è stato proprio questo: capire chi e cosa doveva fermarsi oppure continuare. Perché, al di là dei dettagliati elenchi allegati al decreto, anche nel Trevigiano le varie filiere sono estremamente articolate e interconnesse al proprio interno. «Abbiamo ricevuto centinaia di richieste e ci stiamo attrezzando per dare risposta a tutti - conferma il Prefetto di Treviso Maria Rosaria Laganà -. Alcune sono parzialmente incomplete, e riguardano comunicazioni di prosecuzione delle attività, che dovranno essere subito valutate. Ma ci sono anche domande di ogni genere, da parte dei cittadini, a cui cerchiamo di far fronte ricordando però a tutti che in questo momento bisogna limitare al massimo ogni spostamento».
LE DIFFICOLTA’
Paradossalmente, per alcune aziende è persino complicato individuare un settore unico di appartenenza. Non a caso, la Camera di commercio, oltre ad un’apposita equipe in collaborazione con Prefettura e Provincia per fornire assistenza, ha dedicato degli esperti per definire un’interpretazione per quelle imprese che svolgono più lavorazioni. Ulteriore dimostrazione della complessità della questione, e anche di un certo disorientamento generato dalle norme, i trenta tecnici della task-force sull’emergenza, messa in campo da Assindustria Venetocentro, negli ultimi due giorni, hanno fatto fronte ad una media di 70-80 richieste a testa.
AMMORTIZZATORI SOCIALI
L’altra partita su cui l’associazione degli industriali trevigiani e padovani è impegnata in queste ore riguarda gli ammortizzatori sociali: 440 le domande di cassa integrazione avanzate da altrettante tra le 3.500 imprese socie delle due province, da giovedì a ieri, per complessivi 43mila lavoratori. “La scorsa settimana, come Confindustria, avevamo lavorato con il sindacato per produrre un protocollo con l’obiettivo di garantire la salute dei nostri collaboratori – afferma Maria Cristina Piovesana, presidente di Assindustria Venetocentro -. Pensavamo di aver raggiunto un ottimo risultato, soprattutto per le imprese che avevano deciso di continuare. Dopodiché è arrivato l’ennesimo decreto, tra l’altro sabato a tarda sera, con panico tra gli imprenditori, ma anche tra i dipendenti, che non sapevano se lunedì avrebbero dovuto venire a lavorare o meno. Le carte in tavola sono di nuovo cambiate e quello sforzo, positivo e doveroso, è stato vanificato”. La presidente ribadisce che la salute viene prima di tutto e le imprese sono pronte a fare responsabilmente quanto richiesto dalle autorità. “D’altra parte – aggiunge -, dobbiamo essere consapevoli che non si può fermare tutto e le aziende avrebbero dovuto avere la possibilità di scegliere, in base alla loro singola situazione. Ovviamente applicando i protocolli stabiliti. Sia chiaro, nessuno vuole imprese che, nella gravità del momento, non lavorino in sicurezza: perciò servivano i controlli e se qualcuno usciva dalle regole doveva chiudere. Peraltro in molte delle nostre aziende quelle condizioni sono già rispettate: facendo casa e azienda, il rischio è minimo. Il problema è stato che, non avendo avuto una chiara percezione della gravità, a lungo la gente ha continuato ad uscire, a frequentare gli amici, ad andare in palestra” Quanto potrà reggere il sistema produttivo questa “ibernazione”? “Meno di quel che si pensa. Anche se un’azienda è in salute dal punto di vista finanziario, è comunque legata ad un mondo di piccole e piccolissime altre imprese. E questo mondo è quello più fragile. Anche le grandi industrie, senza quel mondo, non possono vivere. Il 3 aprile è una scadenza che già comincia a mettere in difficoltà diverse realtà. Io spero non si vada oltre”.
Mattia Zanardo
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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