Il tesoro milionario dei Levak: i giudici bloccano la confisca

Domenica 4 Agosto 2019 di Denis Barea
Il tesoro milionario dei Levak: i giudici bloccano la confisca
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TREVISO - «Mancano i concreti elementi per sostenere che i delitti accertati che sono evidenziati nella richiesta di misura abbiano effettivamente generato profitti e abbiano costituito l'unico reddito o una componente significativa di tale reddito». Con questa formula il Tribunale di Treviso lo scorso 9 luglio ha respinto la richiesta di maxi confisca formulata dalla Procura sul patrimonio mobiliare e immobiliare del gruppo familiare dei Levak gravitante nelle zone di Paese, Istrana e Oderzo. 
 
E' una decisione che demolisce l'impianto accusatorio che deriva da una lunga e dettagliata indagine condotta dalla Guardia di Finanza ma che riscrive anche trent'anni di storia criminale del clan di nomadi ormai da tempo stanziali nella Marca. Tante denunce, qualche processo ma poche condanne: nulla che possa far pensare che la ricchezza dei Levak, stimabile tra i 6 e poco meno di 10 milioni di euro, sia il frutto di attività delittuose. Per negare la richiesta di misura cautelare formulata dal sostituto procuratore Mara De Donà il collegio composto dai giudici Cristian Vettoruzzo, Leonardo Bianco e dal presidente Francesco Sartorio ha dovuto attendere che la Corte Costituzionale si pronunciasse sulla legittimità di alcune norme in merito al Codice delle leggi antimafia. E' però nel merito che il tribunale tira una riga praticamente definitiva sul sospetto che la ricchezza dei Levak sia di provenienza criminale. Può essere, ammettono i giudici, che come sostenuto dalla Procura quel patrimonio non sia mai stato tassato ma l'evasione fiscale non giustifica la richiesta di confisca allo Stato. 
L'INDAGINEIl dispositivo non lascia intatto pressoché nulla dell'impianto accusatorio costruito intorno alle figure del 72enne Sandro Levak, considerato il capostipite del gruppo familiare che orbita su Paese, Istrana e Oderzo, del 56enne Diego Levak, del 52enne Guido Levak e del 49enne Colombo Levak. L'indagine condotta dalla Guardia di Finanza aveva raffrontato le entrate lecite percepite dai Levak tra il 1986 e il 2017 e le spese effettuate evidenziando, ha scritto il pm una sproporzione delle seconde per l'importo complessivo di 2 milioni e 691 mila 797 euro. L'attività delle Fiamme Gialle aveva inoltre posto in evidenza come nel periodo compreso tra il 2012 e il 2016 risultino effettuati versamenti in contanti su conti correnti e libretti di deposito riconducibili ai componenti della famiglia per 455.866 euro, di cui 144 mila versati da capofamiglia Sandro Levak, che è stato accertato può contare su un monte titoli e polizze assicurative di 743.280 euro. Da dove proviene tutta questa ricchezza? 
L'ACCUSAPer il sostituto procuratore Mara De Donà le attività imprenditoriali dei Levak nell'edilizia, nel commercio di autoveicoli usati e la doratura di oggetti sacri sarebbero state negli anni solo un paravento. In particolare la doratura di oggetti sacri di proprietà del clero avrebbe funzionato in realtà come un piede di porco per aprirsi la strada alla pratica delle estorsioni ai danni di sacerdoti e cappellani. A partire dal 1989 la Procura, nella sua richiesta di confisca, ritraccia la saga criminale della famiglia: estorsioni, truffe realizzate e tentate, minaccia, violazioni di domicilio, violenza privata, sequestro di persona e riduzione in stato di schiavitù, sostituzione di persona, insolvenza fraudolenta, reati contro il patrimonio. e persino maltrattamento di animali. Un quadro da cui, secondo il magistrato, deriverebbe la pericolosità sociale dei componenti del gruppo familiare, che sarebbero anche soci occulti di numerose società operanti nei settori immobiliare e delle costruzioni, da loro finanziate con una liquidità di cui per gli inquirenti non si spiegherebbe l'origine se non come frutto di condotte delittuose. Ma il Tribunale, nel rilevare che nella maggior parte dei casi le denunce non sono approdate a condanne e che per altri fatti i procedimenti penali sono in realtà ancora in corso e non sono giunti neppure alla fine del primo grado, afferma che non sono sufficienti i meri indizi. «Mancano - scrivono i giudici Bianco, Sartorio e Vettoruzzo - le prove che le condotte delittuose abbiano in effetti generato i profitti considerati come illeciti». Fine corsa per le indagini, quindi, e patrimonio Levak al sicuro. 
Denis Barea 
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