Lo chef stellato che cucina nell'ex castello medioevale del trevigiano

Martedì 29 Ottobre 2019 di Giambattista Marchetto
Alessandro Breda
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ODERZO (TREVISO) - Gli hanno dato in mano un luogo di pregio, un castello medievale ed ex carcere a Oderzo, con all'interno resti di un'abitazione patrizio-romana oggi area archeologica, e Alessandro Breda ne ha fatto Gellius. Il ristorante nel cuore della cittadina, in cui i piatti e l'atmosfera sono un mix di eleganza e sapienza antica, si è appena rinnovato. E lo chef confessa che quella stella Michelin, in fondo, è nata nella cucina della nonna. 
Breda, cosa significa creare un luogo in cui si vivono esperienze gastronomiche in un contesto di fatto archeologico?
«Diciamo che ti senti un po' responsabile, ma più che un peso è un privilegio. Quando un cliente entra da noi rimane a bocca aperta. Io stesso, dopo anni, ancora rimango colpito da uno spazio così suggestivo. Certo le aspettative di chi mangia da noi a quel punto si alzano, perché in un posto così bello poi la cucina deve esser all'altezza».
  
Quindi ha una cucina speciale per un posto speciale? 
«Io devo far la cucina che piace a me, ma cerco di creare qualcosa di livello alto, ma non pesante. Uno spazio antico potrebbe appunto risultare sovrastante e per questo, pur nella sobrietà, cerchiamo di mantenere una certa leggerezza e una forma sottile di eleganza, anche per rispetto del locale». 
E si crea una relazione tra passato e presente? 
«Tutto sommato siamo riusciti a mantenere un equilibrio, innestando la ristorazione di livello in un contesto così particolare. Talvolta mi chiedo cosa si aspetti chi viene nel nostro ristorante, ma in fondo è stato fatto un recupero molto accurato e rispettoso che incrocia il moderno con il rispetto dell'antico». 
Ora avete rinnovato il locale, come? 
«Abbiamo chiuso e rinnovato la sala, l'arredo e l'ambientazione. L'idea è di valorizzare di più la sala e le competenze, anziché accentrare tutta l'attenzione sulla cucina». 
Cosa spaventa di più quando ci si imbarca in nuove avventure?
«Normalmente non sono assolutamente spaventato, anzi, sono carico di aspettative e curiosità». 
Da bambino immaginava che sarebbe diventato uno chef? 
«Quando ero bambino non avrei mai pensato di diventare un cuoco, anche perché il mio sogno era quello di fare il pilota di aerei». 
Dunque la passione per il suo mestiere è nata col tempo? Qual è stata la scintilla? 
«La passione per la cucina è nata vedendo la nonna che cucinava. Durante le vacanze estive, avendo i genitori entrambi occupati al lavoro, cercavo di rendermi utile iniziando a far bollire l'acqua per la pasta, facendo trovare i pomodori già tagliati, la cipolla pulita o tutte quelle cose che la mamma ti lasciava detto per esserle d'aiuto. Ecco che l'evoluzione è stata automatica: dal pomodoro lasciato crudo alla salsa già pronta. E il tutto non mi pesava assolutamente, anzi, lo facevo sempre con più piacere. C'era sempre la supervisione della nonna che abitava a pochi metri». 
Quando lavora a qualche progetto ha un rifugio tutto suo?
«Non ho un rifugio per le mie idee e progetti, ma forse il luogo dove più mi concentro nei miei pensieri è l'auto. Percorro circa 80 km al giorno, sempre solo, quindi senza distrazioni».
E quali luoghi considera come rifugi per rilassarsi? 
«Mi piace moltissimo il mare, ma quello che considero il mio rifugio preferito è la casa di un caro amico immersa in un bosco isolato nel Cansiglio». 
Perché? 
«Amo l'altopiano del Cansiglio, sulle Prealpi Bellunesi, perché c'è silenzio assoluto, non c'è inquinamento luminoso, c'è abbondanza di flora e fauna (cervi, stelle alpine, poiane, volpi, funghi e frutti di bosco)». 
Giambattista Marchetto
Ultimo aggiornamento: 30 Ottobre, 11:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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