Celeste, 70 anni nell'alta cucina: «Dal Montello in tutto il mondo»

Lunedì 31 Agosto 2020 di Michele Miriade
Celeste Tonon
VOLPAGO - Il nome Celeste è sinonimo di ristorazione, nella Marca e non solo, da oramai mezzo secolo. Di anni Celeste Tonon ne ha compiuti 70 di cui 55 di lavoro avendo iniziato quindicenne quando, anziché frequentare l'istituto per ragionieri Riccati di Treviso, dove mamma Maria e papà Dante lo avevano iscritto, iniziò la trafila nelle cucine di vari ristoranti ad imparare sul campo il mestiere di cuoco.

Un apprendistato che gli ha permesso di gettare le fondamenta per l'attività di imprenditore nella ristorazione che lo ha visto poi, di anno in anno, salire alla ribalta nazionale ed internazionale, con la cucina del territorio e stagionale. Un instancabile professionista che ha seminato molto per diventare il re del catering nei grandi eventi. Tanti gli auguri ricevuti per i suoi 70 anni da tanti personaggi. Come quelli di Giancarlo Gentilini, ex sindaco di Treviso: «Celeste è un uomo che ha segnato la storia della ristorazione nel mondo, un mito della Razza Piave». E di Annibale Toffolo, direttore della rivista Taste Vin: «Se la Marca Trevigiana si può definire ancora Gioiosa et amorosa è grazie anche a Celeste Tonon ispiratore di una cucina ben radicata nella sua tradizione ma anche nostalgicamente e culturalmente aggiornata al vivere di oggi».

Celeste, 70 anni passati in fretta?
«Molto in fretta, non mi rendo conto, sarà per il fatto che non mi sono mai fermato, è una corsa continua nel mondo della ristorazione da quando ero ragazzo. Sempre ripagati da tante soddisfazioni con tutta la mia famiglia. Questi ultimi mesi ci ha riportato indietro, il Covid ha segnato il nostro mondo ma siamo ripartiti».

Tanta gavetta per imparare il mestiere di cuoco?
«Veramente tanta, senza guardare agli orari, avevo 15 anni quando iniziai da Renato in via fratelli Bandiera a Treviso, per lui ero un figlio, facevamo colazione assieme e poi in cucina a preparare i menù, quindi quattro anni con le stagioni estive e invernali a San Vito di Cadore, poi a Treviso al Fogher con la signora Speranza Bon, mamma di Gianni Garatti. Ovunque, a contatto con tanti cuochi, ho imparato il mestiere. E la soddisfazione dei miei genitori che mi perdonarono il fatto di non essere diventato ragioniere».

Quindi l'avvio dell'attività alla Costa d'Oro?
«Avevo 22 anni, era il 1972, decisi di iniziare in proprio con l'aiuto dei genitori, ai piedi del Montello e ricordo che andai a Cortina a prendere mio fratello Giuliano che lavorava al Miramonti per iniziare l'attività. All'inizio per la timidezza mi vergognavo di uscire dalla cucina per dialogare con i clienti».

E arrivano i primi ospiti e personaggi?
«In fretta con il passaparola e grazie alla cucina genuina, semplice, stagionale, ed ecco le visite di Bepo Maffioli, Bepi Mazzotti, la Toti Dal Monte, Angelo Serafin e tanti altri. Feci tesoro dei loro consigli, suggerimenti, nozioni sui piatti e vini».

Quindi l'apertura della Falconera...
«Dopo sette anni ho lasciato Costa d'oro per aprire a Venegazzù l'attuale Falconera, casa colonica negli anni ristrutturata e ampliata e la nascita della società con mio fratello Giuliano sempre ai fornelli e mia sorella Bonetta. Tanti matrimoni, eventi, il catering, la cucina trevigiana e veneta portata in giro per l'Italia e il mondo. Quindi l'apertura anche di Casa Gobbato nel verde e del Montello per grandi banchetti e matrimoni». L'esperienza con Alitalia?«Ho girato il mondo, ad ogni apertura di una rotta della compagnia di bandiera, e per grandi eventi nel mondo, si portava la cucina trevigiana e italiana, in Spagna, in Francia, negli Usa, da New York a Los Angeles, in Canada a Montreal e Toronto, in Arabia Saudita e tanti altri paesi. Con ospiti e personaggi del mondo della dell'economia, della cultura, dello spettacolo, dello sport, una lista infinita».

Tanti eventi e premi?
«Come dimenticare il festival italiano della cucina a Buenos Aires, la cucina italiana a Rio de Janeiro, San Paolo, Atene, al Casinò di Lisbona, premi come il Fogher d'oro il Caminetto d'oro, la targa Alitalia, il Leone di S. Marco della regione e l'Oscar della cucina italiana».

E banchetti e ricevimenti ovunque?
«Tanti per il mondo imprenditoriale, della moda, dello spettacolo, nelle maggiori città e ville in Italia, in Svizzera, Austria, Monaco. Belgio, Costa d'Avorio, Olanda, Svezia, Francia, Spagna come negli Usa, Riad, Istanbul, Damasco. Ricordo le Olimpiadi di Lillehammer, il pranzo per la primogenita di Re Hussain o le più recenti uscite in Cina e Singapore o i 50 anni dell'azienda Benetton a Parigi, tutti gli eventi dei mitici Pooh, i 25 anni di gemellaggio con il Charleston di Palermo, e matrimoni, ovunque, di personaggi. E come non ricordare i ricevimenti per la festa della Repubblica il 2 giugno, i prefetti che da Treviso andavano in altre città volevano la mia squadra per i gala con politici, capi di stato e governo».

Piatti del territorio che sono piaciuti e che non tramontano?
«Quelli stagionali e della tradizione come la pasta e fagioli, le paste fatte in casa, i tortelli con ricotta di buffala, i risotti stagionali, le tagliatelle alla Celeste, i timballi, la faraona alla montelliana primo piatto del Buon Ricordo e poi i cappelletti del conte Loredan a forma di cappello del doge con ripieno di funghi e cappone, lo stinco e lo spiedo, piatti per esaltare il Radicchio di Treviso, l'asparago di Cimadolmo, erbette spontanee e i funghi del Montello. E poi il Tiramisù che imparai a fare al Fogher».

Piatti degustati da tanti personaggi...
«Ricordo che Spadolini a Roma fece il tris con la pasta e fagioli. Un piacere vedere degustare i piatti da artisti, attori, personaggi come Celentano, Pozzetto, George Clooney nelle cene per lui alla villa al lago di Como».

Cosa ha rappresentato CocoFungo di cui è stato tra i fondatori?
«Era il 1977, prima rassegna a tema in Italia, un ottimo confronto per la crescita professionale, la rivisitazione e la creazione di nuovi piatti, nuovi abbinamenti, un continuo fermento che ha elevato la cucina trevigiana come poi con CoroRadicchio».

Dalle soddisfazioni ai momenti tristi con la scomparsa si amici e colleghi in questo terribile 2020...
«Un anno veramente funesto preceduto dalla scomparsa di Roberto Miron, poi Arturo Filippini al quale mi legava stima ed amicizia, mai concorrenza con i vari banchetti ed eventi,e da lui ho imparato molto. Poi Antonio Palazzi con gli anni di CocoFungo e Franco Menegaldo il grande del pesce. Sono stati le colonne della cucina trevigiana, da loro ho cercato di imparare e l'ammirazione è stata forte. La loro scomparsa è stata una pugnalata, se ne è andata una parte di me, mi manca qualcosa e sono stati mesi di grande tristezza».
 
Ultimo aggiornamento: 2 Settembre, 09:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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