Soldi e regali per le case popolari, il rom nega le mazzette: «Mai dato soldi ai dipendenti comunali»

Domenica 12 Giugno 2022 di Paolo Calia
Simone Garbin e Stefano Pivato
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TREVISO - Simone Garbin, giostraio, indagato nell'inchiesta sull'assegnazione delle case popolari in città, sarebbe andato molto spesso nell'Ufficio Casa del Comune. E il più delle volte di avrebbe parlato direttamente col dirigente Stefano Pivato o con qualcuno dei suoi collaboratori. Una presenza se non costante, sicuramente frequente nella sede comunale di viale Vittorio Veneto dove, ogni giorno, il via-vai di gente con problemi di ogni tipo è continuo. Capire il contenuto di questi incontri rappresenta il cuore dell'ipotesi investigativa su cui gli investigatori del Nucleo provinciale dei carabinieri si stanno concentrando. Garbin ha ammesso di essere andato a perorare la causa di famiglie rom a lui vicine e in attesa di sistemazione anche se, quasi sempre, già presenti nelle graduatorie. Ma nega di aver mai dato soldi o oggetti preziosi a qualcuno. La frequenza di questi incontri, il contenuto dei dialoghi col dirigente comunale, a sua volta indagato per corruzione e abuso d'ufficio, rappresentano però il grande interrogativo da risolvere.

Fabrizio Santoro, difensore di Pivato, però precisa: «C'erano tanti soggetti che cercavano il dirigente in continuazione, anche via mail visto che il suo indirizzo elettronico è pubblico, o con telefonate. Qualcuno, soprattutto rom, si è anche presentato di persona, spesso con atteggiamenti aggressivi. E qualche volta, per placare gli animi ed evitare guai, è stato ricevuto. E nei casi più gravi segnalato alle forze dell'ordine. Ma la prassi era sempre la stessa: per essere ricevuti bisognava fare domanda».

I RISCONTRI
In queste ore i militari dell'Arma stanno passando al setaccio tutto il materiale sequestrato a Garbin, soprattutto cellulare, tablet, computer. Si stanno leggendo, uno per uno, i messaggi presenti, annotando giorno e ora delle telefonate e a chi sono state fatte, eseguendo tutti quegli esami poi decisivi quando l'inchiesta entrerà nel vivo. Al momento l'ipotesi più concreta è che Garbin dicesse nella sua cerchia di conoscenze di conoscere bene Pivato e di aver buoni rapporti con lui, che si proponesse quindi come intermediario per risolvere problemi o agevolare pratiche andando di persona in Comune a parlare e che in cambio di questo interessamento chiedesse denaro, lasciando intendere che sarebbe servito a sciogliere qualche nodo. L'inchiesta in corso vuole capire che fine facessero questi soldi.

LA DIFESA
Da canto suo Garbin, difeso dall'avvocato trevigiano Fabio Crea, una cosa la dice molto chiaramente: «Non ho mai dato denaro, oggetti preziosi o fatto regali a Pivato o ad altri dipendenti comunali. Questa cosa la nego nel modo più assoluto. E sono pronto a chiarire tutto davanti agli inquirenti». Ieri il giostraio ha raccontato la sua versione dei fatti a Crea per approntare una prima linea difensiva. E non ha negato di aver avuto rapporti con gli uffici di Ca' Sugana. Ma non si è definito un intermediario. «Non parlerei di Garbin come un tramite - spiega Crea - più che altro si interessava per aiutare conoscenti piuttosto che le famiglie disagiate che lo contattavano. Veniva chiamato perché intercedesse in maniera assolutamente lecita con l'amministrazione comunale in modo da facilitare un dialogo con chi era in difficoltà. In alcuni settori, un comportamento così, verrebbe definito da mediatore culturale. Non parlerei invece di mediatore e basta perché è un termine che potrebbe far pensare a dazioni di denaro o altro. Che non ci sono mai state».

 

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