Treviso. Accusato di stupro ma innocente: 181 giorni in carcere, risarcito

Venerdì 9 Agosto 2019 di Denis Barea
Treviso. Accusato di stupro ma innocente: 181 giorni in carcere, risarcito
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CORNUDA (TREVISO) - Centottantuno giorni trascorsi dietro alle sbarre del penitenziario trevigiano di S. Bona dove era entrato, in esecuzione di una misura di custodia cautelare, con addosso il marchio infamante di essere uno stupratore. Ma lui con quella storia di prostitute dell'est comprate, vendute e violentate dai loro papponi non c'entrava nulla. A 15 anni di distanza dall'arresto e a tre dalla sentenza di primo grado di piena assoluzione H.D., cittadino albanese oggi 37enne, si è visto riconoscere un risarcimento per ingiusta detenzione di circa 45 mila euro, più o meno 8 mila per ogni mese che ha passato rinchiuso in cella da innocente.
 
IL PROVVEDIMENTOIl provvedimento della Corte d'Appello di Venezia depositato lo scorso 1 agosto mette una volta per tutte la parola fine ad una vicenda che ha tutti i contorni di un clamoroso errore: l'uomo venne infatti incarcerato, rinviato a giudizio e finì a processo ma come rilevato nella sentenza dei giudici del Tribunale di Treviso nessun elemento a suo carico è emerso nel corso dell'istruttoria dibattimentale. Mancavano completamente, si legge nel dispositivo, le dichiarazioni della persona che, secondo il capo di imputazione, sarebbe stata la vittima del presunto stupro. In buona sostanza, scrissero i giudici Vettoruzzo, Bianco e Sartorio nel luglio del 2016, non c'era niente che potesse collegarlo a quei fatti. Nella requisitoria finale fu la stessa pubblica accusa a chiedere la sua assoluzione, però con la formula della insufficienza della prova; H.D. venne invece scagionato con una sentenza di assoluzione piena per non aver commesso il fatto. Come è stato possibile che l'imputato, al tempo dei fatti appena 22enne, sia finito nei guai pur essendo totalmente estraneo a quella storia? Le motivazioni della decisione sul risarcimento, a cui si sono opposte la Procura generale e l'avvocatura distrettuale dello Stato in rappresentanza del Ministero dell'economia, portano a concludere per l'approssimazione delle indagini. «Dalla sentenza assolutoria di primo grado - illustrano i giudici della seconda sezione penale Carlo Citterio, Antonella Galli e Barbara Lancieri - emergeva un proscioglimento dovuto al fatto che il pubblico ministero non avesse introdotto in giudizio alcuna prova pertinente». H.D. aveva però subito qualche anno prima una condanna per possesso di armi e frequentava un gruppo di connazionali tra cui alcune persone entrate ma poi anche uscite dalle indagini. Quella condanna, peraltro sospesa, sarebbe stata per gli inquirenti uno dei significativi riscontri alle dichiarazioni della donna, cioè la ragazza che lo aveva accusato di stupro. 
LA VICENDALa vicenda in cui l'uomo è rimasto invischiato risale al 2004 e ha a che fare con una tratta di ragazze provenienti da paesi dell'Est Europa. Tutto ruotava intorno al locale notturno Sibilla di Cornuda e il suo gestore, Marcello De Marchi. Le indagini appurarono che le giovani straniere venivano assunte dal night club come ballerine ma subito veniva detto loro che, per guadagnare di più, avrebbero dovuto accettare anche le richieste di rapporti sessuali da parte dei clienti. Dei tre finiti a processo a Treviso - oltre ad H.D. c'era un altro albanese, pure lui assolto perché solo omonimo di uno degli sfruttatori e violentatori - De Marchi fu l'unico a essere condannato. Prese 7 anni di carcere per lo stupro, quello sì provato, a una ragazza albanese che era riluttante a prostituirsi. H.D. in effetti ammetterà durante uno degli interrogatori di aver frequentato il Sibilla e di aver conosciuto lì la sua accusatrice, con cui aveva iniziato una relazione poi conclusasi perché lei continuava a fare la vita. La giovane invece avrebbe raccontato di essere stata passata di mano al giovane, che l'avrebbe costretta a prostituirsi lungo il Terraglio e anche violentata. 
LA VERITA'La verità è che nelle sue dichiarazioni agli inquirenti, spiegano i giudici dell'appello la donna parla solo in termini generali della sua esperienza di costrizione allo sfruttamento senza però fare riferimenti specifici ad H.D.. Infatti dichiarazioni verbalizzate in cui la straniera indichi chiaramente l'albanese come suo aguzzino non se ne trovano da nessuna parte. L'ordinanza cautelare - si legge nel dispositivo depositato ad inizio agosto - non aiuta nel tentativo di ricostruzione. Il provvedimento indica come imputazioni lo sfruttamento della prostituzione e la violenza sessuale, mentre H.D. viene processato solo per quest'ultima. I giudici di secondo grado aggiungono che sempre nell'ordinanza di custodia cautelare i riscontri non riguardano specificamente i rapporti tra la vittima e H.D.. Si sarebbe trattato insomma di una indagine con qualche evidente forzatura, tanto da approdare in un processo conclusosi con una assoluzione piena. Un errore investigativo costato allo Stato 45 mila euro di risarcimento per l'ingiusta carcerazione di una persona innocente. 
Denis Barea
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