Bomba nella sede della Lega: «Simulate l'esplosione, si saprà se poteva uccidere»

Domenica 9 Maggio 2021 di Giuliano Pavan
La pentola a pressione piena di chiodi di legno e polvere esplosiva lasciata all'esterno della sede della Lega
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TREVISO Una riproduzione fedele in ogni sua parte dell’ordigno ritrovato all’esterno del K3 e un esperimento giudiziale che ne simuli l’esplosione per verificarne l’effettiva pericolosità. È l’ipotesi emersa al termine dell’udienza di ieri nel processo contro Juan Sorroche Fernandez, l’anarchico spagnolo di 43 anni ritenuto la mente dell’attentato dell’agosto 2018 nella sede provinciale della Lega a Fontane di Villorba.

La Corte d’Assise del tribunale di Treviso deciderà il prossimo 29 maggio se effettuare o meno questa super perizia per chiudere definitivamente, in un senso o nell’altro, la diatriba tra i pubblici ministeri Roberto Terzo e Alessia Tavarnesi e l’avvocato Giampiero Mattei. Ieri infatti sul banco dei testimoni si è seduto uno dei consulenti del legale di Sorroche il quale, a differenza degli artificieri interpellati dalla Procura di Venezia (competente per i reati di attentato per finalità terroristiche o di eversione e di devastazione o strage nel territorio dello Stato, articoli 280 e 285 del codice penale, che in caso di condanna prevedono anche l’ergastolo, ndr), ha sostenuto che la capacità deflagrante dell’ordigno fosse in realtà molto ridotta. In altre parole, che in caso di esplosione non solo non avrebbe potuto uccidere ma non avrebbe potuto nemmeno provocare ferite gravissime. Motivo per cui la Corte d’Assise si è riservata la decisione di disporre questa nuova perizia. 

L’IMPUTATO
Nel corso della precedente udienza, a sorpresa, Juan Sorroche Fernandez aveva preso la parola e per circa quindici minuti aveva parlato ai due giudici togati e ai sette popolari: «La Lega è vittima dell’odio che ha portato nella politica italiana e del male che ha fatto con le sue azioni» aveva affermato. Quasi a giustificare la presenza dei due ordigni all’esterno del K3. Nel corso delle indagini, così come poi appurato a processo, nell’agenda di sequestrata a Sorroche c’erano anche gli indirizzi di altre due luoghi riconducibili al Carroccio: uno a San Donà di Piave e l’altro a Imperia. Segno, secondo gli inquirenti, che il partito era nel mirino degli anarchici. E che forse il K3 non sarebbe stato l’unico obiettivo.

GLI ELEMENTI
Oltre alle tracce di dna rinvenute sull’ordigno (anche se la difesa le giudica troppo lievi per poter dare una certezza sul coinvolgimento del 43enne nell’attentato, ndr) e all’agendina, l’accusa contro l’anarchico si basa su una serie di elementi: quando fu arrestato, il 22 maggio 2019, dopo nove giorni e altrettante notti di ricerche nei boschi e nelle montagne bresciane dove si nascondeva, Sorroche aveva con sé due pentole a pressione: strana circostanza per chi vive in mezzo ai boschi. L’ordigno inesploso di Villorba consisteva proprio in una pentola a pressione riempita con 900 grammi di chiodi di legno e 1,3 chili di “black powder”, polvere nera. Il primo ordigno scoppiò annerendo l’ingresso del K3. Il 16 agosto 2018 una rivendicazione fu inviata a due quotidiani e postata sui siti Round Robin e Anarchia (a nome della “Cellula Haris Hatzimihelakis/internazionale nera (1881/2018)”): sul luogo si svolse un ulteriore sopralluogo e fu scoperto il secondo ordigno, seminascosto sotto le scale in metallo. Per azionarlo sarebbe stato sufficiente inciampare in un filo in nylon che avrebbe dovuto attivare due batterie e quindi due luci alogene chiuse in altrettanti barattoli di shampoo, con il risultato di accendere una miccia a lenta combustione per innescare la pentola a pressione esplosiva. «Avevo lasciato lo scooter proprio accanto alla scala sul retro dove era stata posizionata la bomba - ha ricordato in aula l’assessore Alessandro Manera - gli agenti della Digos mi hanno detto che, se fosse esplosa, avrei rischiato seriamente di morire».

Ultimo aggiornamento: 10 Maggio, 09:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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