Beppe Marotta, l'Inter a gennaio: «Sono pronto al rientro in Italia»

Mercoledì 14 Novembre 2018 di Tiziano Graziottin
Beppe Marotta riceve il premio "Radicchio d'oro" a Castelfranco
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CASTELFRANCO VENETO «Come vivo questa fase della mia vita? Beh, è indubbiamente un momento particolare, per me fuori dall'ordinario: ho lavorato per 41 anni, senza fermarmi mai, neanche d'estate perchè finita la stagione bisognava buttarsi subito nella sfida di quella successiva. Non mi sono annoiato, ho trovato il modo di partecipare a serate piacevoli come questa, ma sono pronto a rientrare nella mischia, manca poco».
Così parlò il disoccupato (a scadenza) Beppe Marotta, lunedì sera a Castelfranco, al termine della manifestazione nella quale gli è stato consegnato il Radicchio d'oro come personaggio sportivo dell'anno. 
A quel manca poco vanno dato contenuti di sostanza e temporali che Marotta si guarda bene dal soddisfare («soprattutto non chiedetemi dove andrò»), ma a farlo ci pensano personaggi molto vicini all'ex direttore generale della Juventus: i rumors dicono destinazione Milano, sponda Inter, con ufficializzazione a gennaio. 
Giocherà in casa quindi, senza ascoltare altre sirene, da mezza Italia e anche dall'estero. 
«Sì, ci sono state chiamate importanti anche da club stranieri. Ma a me piace l'Italia, a differenza di altri penso che il nostro movimento sia di primissimo livello e che abbia grande appeal internazionale».
Lavorerà anche per evitare di iniziare la stagione con una vincitrice annunciata, una Vecchia Signora che lei conosce bene?
«La Juventus attualmente ha una organizzazione a livello di club e una squadra in campo oggettivamente superiori al resto del panorama nazionale. Negli ultimi anni sono mancate soprattutto le milanesi, Milan e Inter, questa è la grande variabile rispetto al passato, ed è un gap che per le concorrenti non sarà facile colmare. Sul fronte europeo invece la concorrenza resta durissima».
Questo gap in Italia lo ha scavato Beppe Marotta.
«Un lavoro di squadra, funziona solo così, dando il top ognuno nel suo livello di responsabilità. Però ora guardo avanti, si è chiuso un ciclo durato nove anni, prima c'era stato quello alla Sampdoria pure ricco di soddisfazioni. Sono già proiettato sulle nuove sfide, Questo è il mio mondo e al calcio italiano penso di poter dare ancora un contributo importante».
Nella sua vita c'è stato anche il ciclo veneto, 5 anni al Venezia; come li ricorda?
«Una esperienza bella, positiva, gratificante. Venezia incantevole, come tutto il Veneto, per questo ci vengo sempre volentieri. Mi piacerebbe che nel calcio questa regione ritrovasse una centralità, seguo le vicissitudini di piazze come Padova, Treviso, Vicenza. E le vicende del mio Venezia, tornato a buoni livelli».
Ma esperienze come quelle del Verona scudettato e del Real Vicenza sono replicabili?
«No, direi di no. Oggi il calcio è intrattenimento e business, tutto si basa sulla sostenibilità e sui ricavi commerciali e questo porta inevitabilmente a un'elite di grandi piazze, mediaticamente molto importanti, capaci di coinvolgere milioni di persone nel cosiddetto stadio virtuale. Forse per arrivare ai grandi risultati in provincia può ritornar buono il mecenatismo, seguo con interesse ad esempio l'entrata di Renzo Rosso nel Vicenza».
Fu un mecenate anche Zamparini a Venezia?
«Checchè se ne dica l'esperienza di Zampa in laguna ha portato benefici a tutto il calcio veneto. Sono stato a casa sua un paio di settimane fa, mi ha parlato del suo progetto per il Palermo col solito incredibile entusiasmo».
Panchina d'oro al suo ormai ex sodale Massimiliano Allegri.
«Meritatissima, Max è un top manager a livello mondiale, tra i primissimi allenatori al mondo. Svolge perfettamente il suo ruolo, in campo e fuori, la sua crescita negli anni è stata eccezionale».
Ancelotti vorrebbe fermare le partite quando arrivano cori violenti dagli spalti; che ne dice?
«Sono d'accordo con Carlo, c'è una pericolosa escalation del becerume e della violenza verbale negli stadi e fuori, con un lessico volgare utilizzato perfino in televisione dagli addetti ai lavori, e non va bene».
 
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