Benetton basket, i 30 anni dallo storico primo scudetto nel libro "9 maggio 1992"

Mercoledì 27 Aprile 2022 di Sara De Vido
La squadra che vinse il primo storico scudetto della Benetton Basket dando il via al mito di Treviso

TREVISO Il primo scudetto non si scorda mai. Era la sera di trent’anni fa, il 9 maggio 1992, e Treviso scoppiava in festa. La finale contro la Scavolini di campioni come Magnifico, Workman e Daye fu la ciliegina sulla torta di una stagione indimenticabile, l’unica in cui i palati fini dei trevigiani hanno potuto ammirare assieme le due stelle del firmamento biancoverde: Toni Kukoc e Vinny Del Negro. «Il centro quella sera era una scena indimenticabile, invaso da persone che festeggiavano. Un’atmosfera magica di felicità e ottimismo», racconta lo scrittore trevigiano Alessandro Toso, che ha appena dato alle stampe il libro “9 maggio 1992”, in uscita proprio il 9 maggio per la trevigiana O.D.E edizioni. Un libro collettivo, per il quale sono stati sentiti tutti i componenti della squadra di allora. Un lavoro che racconta una storia «che nessuno ha mai davvero raccontato», come disse due anni fa in occasione di una partita tra vecchie glorie a Treviso l’allenatore Pero Skansi, scomparso poche settimane fa. Il progetto nasce da un’idea di Toso, all’epoca 22enne, telecronista di Antenna Tre e autore del giornale del Palaverde “Pressing”. Idea nella quale è stato coinvolto il capitano della squadra di allora, Massimo Iacopini. «Inizialmente era titubante, non ama le autocelebrazioni, ma parlandone a Bologna con Nino Pellecani, - spiega Toso, - è emerso come sarebbe stato importante ricordare quella stagione per le persone che non ci sono più, per chiudere un cerchio». Dall’autunno scorso è iniziato il lavoro. Il libro, il cui ricavato sarà interamente devoluto all’Advar, sarà presentato in Ghirada il 9 maggio sera, alla presenza (fisica o virtuale dagli States) della squadra di allora. 


Cosa ha reso possibile questo libro? 
«La testimonianza di tutti i protagonisti di allora, dei componenti della squadra, dei Benetton, dell’allenatore recentemente scomparso.

Siccome il libro è frutto di un lavoro di squadra, il ricavato doveva essere devoluto. Abbiamo deciso di donare ad Advar, pensando anche a Skansi, morto proprio a causa di un tumore». 


Come ha dato voce ai protagonisti? 
«Ho raccontato questa stagione in sei macro capitoli, divisi a loro volta in tre parti. Una parte è la mia narrazione degli eventi, la seconda parte contiene le interviste ai protagonisti, ricostruite però come flash che ricreano la narrazione. L’ultima parte di ogni capitolo è un dialogo letterario in presa diretta tra il capitano Iacopini e Pellacani».

 
Ha quindi intervistato tutti? 
«Certamente. Anche i componenti della squadra in America, via telefonica (grazie a Federico Bettuzzi per l’aiuto)». Skansi invece siamo andati direttamente a trovarlo a casa in Croazia. Abbiamo passato una giornata bellissima, lui ha raccontato tutti i suoi ricordi sulla pallacanestro. Era già malato da tempo. Io sono stato testimone dell’incontro tra lui e Iacopini, per cui provava un grande affetto. Skansi è stato un gigante sotto molti punti di vista». 


Lei era telecronista all’epoca, quindi questo suo libro in fondo chiude un cerchio anche per lei? 
«Mi sembrava di essere alla corte dei re e dei principi. Ora che siamo tutti adulti le distanze si sono annullate. È emozionante. Per i ragazzi e le ragazze di Treviso i giocatori erano delle rockstar. E al centro c’era la famiglia Benetton. La squadra era una creazione di Gilberto Benetton, frutto della sua passione, quindi è stato naturale sentire la vedova e un nipote che seguiva ogni partita». 


Nel libro parla anche del contesto sociale e economico di quegli anni. In che modo?
«Il basket all’inizio degli anni Novanta era lo specchio dei tempi, si pensava che tutto fosse in ascesa. Si investivano miliardi di lire. Anche per Treviso era così, ma Benetton sponsorizzava la squadra già da molto tempo, oltre dieci anni, prima di investire ancora di più. Così arrivarono in Italia giocatori come Toni Kukoc, che voleva tutto il mondo, già scelto dai Chicago Bulls di Michael Jordan. Per la prima volta Treviso, considerata provincia non solo nello sport, si affacciava sul palcoscenico che di solito era di altre città come Bologna, Pesaro, Cantù. Ma questi grandi investimenti non hanno avuto un ritorno in termini di visibilità. Ho poi ampliato lo sguardo, raccontando quello che succedeva nel mondo: il conflitto nei Balcani, l’Hiv che colpì Magic Johnson, il primo sito internet».


Che ricordo ha di quella sera a Treviso?
«Sarei dovuto andare Da Celeste per festeggiare con la squadra, ma non volevo lasciare sola la morosa, che ora è mia moglie. Quindi siamo andati insieme in centro e lì ho visto l’affetto di tante persone. Lo stesso capitano mi ha detto che l’unico rimpianto che ha è che la squadra e la società non siano andati in mezzo alla gente a festeggiare. Lo faremo trent’anni dopo». 


Come sarà l’evento di lancio? 
«Il 9 maggio saremo al ristorante in Ghirada, dove tradizionalmente la squadra ha festeggiato i suoi successi. Faremo una presentazione con tutti, tranne gli americani che saranno collegati via Zoom. Poi cena con i giocatori che continueranno a interagire con i fan. Dopotutto, in trent’anni sono cambiate tante cose, ma la città è la stessa, lo sport è lo stesso, e i protagonisti, cresciuti, sono sempre loro». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci