«Castellucci governava in Aspi anche dopo il licenziamento»

Giovedì 12 Novembre 2020 di Michela Allegri
«Castellucci governava in Aspi anche dopo il licenziamento»

Un manager di successo, con legami ai piani alti della politica, della pubblica amministrazione, dell’industria. Poi, la bufera, dopo il crollo del ponte Morandi nel 2018 e la morte di 43 persone. Quindi le dimissioni da Aspi e da Atlantia. Ma in molti restava la convinzione che Giovanni Castellucci continuasse a «governare» ogni cosa. Per questo il gip di Genova ha deciso di disporre per lui i domiciliari: c’è il rischio di reiterazione del reato e, soprattutto, di inquinamento probatorio. Contano i documenti, gli atti, le migliaia di intercettazioni. Un esempio dell’influenza dell’ex top manager nel gruppo societario emerge da una conversazione tra Gianni Mion, presidente di Edizione, società che controlla Atlantia - che a sua volta controlla Aspi e Spea - e Carlo Bertazzo, attuale ad di Atlantia. Il primo dice che «Castellucci sta continuando a governare il processo aziendale del gruppo cercando anche di seminare il concetto secondo cui Gilberto Benetton e il cda di Atlantia fossero a conoscenza delle omesse manutenzioni sulla rete».

La telefonata è del 3 gennaio 2020. Il gip sottolinea anche che «sono emerse le conoscenze da parte di Castellucci in ambienti di altissimo livello e la sua propensione alla strumentalizzazione delle conoscenze e dei rapporti a fini personali».

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«Nel processo ho seguito la linea»

L’ex ad viene descritto come un soggetto dalla personalità «spregiudicata e incurante del rispetto delle regole, ispirata a una logica strettamente commerciale e personalistica, anche a scapito della sicurezza collettiva». Addirittura, in alcune intercettazioni – acquisite da un procedimento parallelo – Berti e Michele Donferri Mitelli (gli altri due ex manager finiti ai domiciliari) parlano della sua capacità di condizionare i loro comportamenti anche a livello processuale. La vicenda riguarda la morte di 40 persone che erano a bordo di un bus precipitato da un viadotto, e tra gli imputati davanti al tribunale di Avellino c’erano anche i vertici Aspi per la scarsa manutenzione delle barriere. Berti - che è stato condannato mentre Castellucci e altri sono stati assolti - sostiene di «non avere riferito la verità per difendere la linea aziendale, condotta che ha contribuito all’assoluzione di Castellucci» che, interessato al mantenimento di quella versione, avrebbe incaricato Donferri di tranquillizzarlo. Gli dice Donferri: «Ha chiesto una mediazione con te, ti vuole rasserenare, ti aiuterà per tutta la vita, ti vuole dare questo messaggio». Il gip specifica che pure lui è interessato alla tenuta delle versioni, visto che è indagato con Berti e Castellucci per il crollo del ponte Morandi: «Ho capito Paolè - aggiunge di fronte alle rimostranze di Berti - che tu sia stanco non è che gli puoi imputà a lui che ci sono stati 43 morti de là... 40 de là, 43 de qua... stamo tutti sulla stessa barca». Berti si sfoga con la moglie: «Abbiamo dovuto difendere la linea, alla fine qualcuno c’è andato in mezzo capito? Quelli piccoli per un modo, quelli alti per un modo, e siamo rimasti in mezzo noi».

Ma non è l’unico tentativo di Donferri di difendere l’ex top manager. Il gip ricorda che in occasione dell’interrogatorio di Castellucci nel procedimento per il crollo del Morandi nel novembre 2018, Donferri chiede al generale dei Carabinieri Franco Mottola - al quale chiede anche di aiutare il figlio di un amico a entrare nell’Arma - un trattamento di favore: «Dico, se poteva dare qualche indicazione a Genova... poveraccio non vorrei che lo trattassero male». Teme che Castellucci venga assediato dai giornalisti e il giorno dell’interrogatorio striglia il generale per non avergli fornito la scorta. Poco prima dell’arrivo di Castellucci, Donferri lo chiama perché non vede i militari e lui risponde di avere fatto «pressioni» sia sul comandante provinciale sia sul comandante della Legione Liguria. «Nella diretta tv vedo una marea di gente, ma non vedo i militari», dice Donferri. E il generale: «No ci stanno, stanno rinforzando tutto... abbiamo fatto pressione forte». Effettivamente, sottolinea il gip, erano presenti il comandante provinciale dei Carabinieri e il comandante della compagnia di Genova Centro. «Si tratta di condotte che evidenziano la straordinaria capacità di esercitare pressioni e di condizionamento anche sulle forze dell’ordine», chiosa il gip.


Il trolley per rubare i documenti

Non è tutto. Dopo il suo licenziamento per la tragedia del Morandi, a inchiesta già in corso, Donferri, all’insaputa di Aspi, si sarebbe organizzato per «sottrarre documentazione in ufficio e relativa al Polcevera per sviare le indagini, contattando persone di fiducia», un collaboratore e la segretaria. «Portati un bel trolley... devo cominciare a prendere l’archivio là del Polcevera, è roba mia - dice al collaboratore - un cosetto al giorno». Poi manda istruzioni via whatsapp alla segretaria, raccomandandole di cancellare le chat».

La chat cancellata sul ponte Morandi

E le chat le avrebbe cancellate anche Berti (pure lui ai domiciliari) dopo il crollo del Morandi. In una conversazione del 25 giugno 2018 con Donferri, Berti - un mese e mezzo prima della tragedia - propone di iniettare aria deumidificata nei cavi del viadotto Polcevera per togliere l’umidità e Donferri risponde che «i cavi sono già corrosi». Berti: «Sti cazzi, io me ne vado».

Fra gli episodi addebitati a Castellucci c’è anche il tentativo di inserirsi nel salvataggio di Carige, sia pure sollecitato. Sotto la sua dirigenza il gip descrive «una politica imprenditoriale volta alla massimizzazione dei profitti mediante la riduzione e il ritardo delle spese necessarie per la manutenzione», a scapito della sicurezza. Emblematica l’intercettazione nella quale il 2 febbraio 2020 Mion, parlando con Giorgio Brunetti, professore veneziano emerito della Bocconi, ricorda: «Le manutenzioni le abbiamo fatte in calare, più passava il tempo meno facevamo... così distribuiamo più utili e Gilberto e tutta la famiglia erano contenti». Da settimane si parlava della revoca della concessione e i due - estranei all’inchiesta - esponevano i loro dubbi proprio sulla riduzione della manutenzione. I problemi, scrive il gip, riguardavano gallerie, viadotti, barriere fonoassorbenti. Ed è proprio su queste che si concentra l’inchiesta che ha portato agli arresti di ieri, tra materiali scadenti utilizzati e mancati interventi. La resina usata per le barriere, per esempio, non era certificata. Illuminante la battuta di un indagato: «Incollate con il Vinavil».
 

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Ultimo aggiornamento: 09:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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