«Io, astrofisico per 13 mesi isolato in Antartide: per sopravvivere devi imparare ad arrangiarti»

Domenica 4 Dicembre 2022 di Elena Filini
Thomas Gasparetto
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Tredici mesi in Antartide, trattamento Ice, ossia isolato, confinato ed estremo. Non è l'ultima frontiera dell'undertourism, ma il contratto di ricerca che ha portato Thomas Gasparetto, astrofisico trevigiano, di Villorba, per oltre un anno alla Concordia, la base italo-francese nel cuore del Polo Sud per due progetti internazionali, l'Itm (International Telescope Maffei), con responsabile principale il direttore dell'osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d'Aosta Jean Marc Christille, e l'Astep, a conduzione francese (diretto da Tristan Guillot, dell'Observatoire de la Cote d'Azur) con obiettivo lo studio dei pianeti extrasolari.
Trent'anni, laurea in Astrofisica a Trieste poi un dottorato in ricerca in Fisica e Astrofisica con l'Università giuliana e Grenoble, ha deciso nel 2021 di accettare un progetto affascinante ed estremo in uno dei luoghi più remoti della terra.

Concordia, la base italo-francese nel cuore dell'Antartide è circondata di ghiaccio. Realizzata grazie a un accordo di cooperazione tra il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide, coordinato dal Cnr per le attività scientifiche e dall'Enea per la pianificazione logistica delle spedizioni, è una delle tre stazioni permanenti oggi operanti nell'Antartide continentale ed è situata sul plateau antartico, a 3.233 m di altitudine, nel sito denominato Dome C. Le temperature nel periodo invernale scendono fino a -80°C. Dista 15 giorni di guida dalla costa e i vicini di casa (se così si può dire) sono gli scienziati della base russa di Vostok, a 600 km di distanza. Intorno, nessuna forma di vita apparente. Ai confini del mondo per amore della scienza.


Qual è stato il motivo per cui è stato mandato alla base di Concordia?
«Mi sono occupato di progetti di astrofisica e astronomia. In sostanza si è trattato di fare un ammodernamento dell'Itm. Una volta ricostruito lo strumento, l'ho preso in carico durante l'inverno. Poi ho lavorato su Astep telescopio francese che ha come obiettivo vedere pianeti extrasolari che gravitano nelle molto lontane. Sono stato la persona responsabile in loco per risolvere i problemi di tutti i tipi, da togliere la neve dallo strumento fino a fare delle modifiche e dei miglioramenti e risolvere problemi di linea di rete e dati».
Ha trascorso lì tredici mesi. Come si vive in Antartide?
«Anzitutto grazie alla tecnologia, perchè il primo problema è la temperatura. L'estate scorsa, la più calda che anche in Antartide si ricordi, ha fatto segnare come massimo i -8°. La temperatura media in Antartide durante l'inverno è di -65°. Noi dobbiamo uscire spesso dalla base, quindi ci muoviamo con un equipaggiamento particolare: stivali, diverse paia di pantaloni tecnici a strati, giacconi, 3 paia di guanti. Mi sono pesato una volta: avevo indosso dieci kg di vestiti!».
C'è anche il problema dell'altitudine.
«Concordia è a 3200 metri d'altezza: oltre al freddo c'è l'alta quota però siccome l'aria ai poli è più rarefatta, è come essere a quasi 4000 metri di altezza. Sono condizioni estreme che richiedono una salute fisica perfetta. Il grosso scoglio per la missione è passare le visite mediche dell'Aereonautica. Sono molto approfondite perchè bisogna ridurre i rischi di problemi fisici al minimo».
Quanto dura un viaggio medio dall'Italia all'Antartide?
«È stato arduo l'anno scorso, perchè c'erano ancora le quarantene e siamo stati fermi in Nuova Zelanda due settimane. In sostanza dall'Italia siamo arrivati a Christchurch, stop quarantena poi altre sette ore di volo fino alla base italiana Mario Zucchelli. Abbiamo avuto problemi in atterraggio perchè quest'anno, a causa del surriscaldamento, il Pac era sfaldato e abbiamo dovuto appoggiarci alla base americana. Poi nuovo volo di 4 ore per arrivare nel centro dell'Antartide, alla base italo-francese di Concordia».
Come si vive all'interno della base?
«Durante l'estate (che qui va da novembre a febbraio) possiamo anche essere un'ottantina, poi in inverno siamo rimasti in 13. Il cibo arriva solo durante il periodo estivo con dei trattori che partono dalla costa e in quindici giorni arrivano a Concordia portando gasolio, materiale e cibo. D'inverno ci si organizza, ma tra i problemi che non abbiamo è surgelare il cibo».
Una giornata tipo nella base?
«Ci si alza con calma, colazione e poi lavoro. La radio tiene traccia degli spostamenti di chi esce nei laboratori esterni della base, io andavo nel mio laboratorio di astronomia, in esterno. A causa delle condizioni estreme siamo sempre in ipossia quindi è impossibile lavorare più di 6 ore al giorno. Un must sono i pranzi e le cene: si mangia tutti insieme ed è un momento di socialità necessario per tenere il gruppo unito. Poi c'è una palestra, abbiamo l'angolo televisione».
Vivere Ice (isolato, confinato ed estremo) per 13 mesi è difficile?
«All'inizio è una scoperta, è tutto nuovo e poi d'estate ci sono 24 ore di luce con tramonti e aurore. L'inverno è molto duro: la base si svuota e per 3 mesi va via completamente il sole. Bisogna essere molto centrati ed equilibrati, stare lucidi perchè a volte può essere dura. Concordia è l'unica base gestita da Italia e Francia quest'anno eravamo tredici, 6 italiani 6 francesi e 1 medico svedese. Analoghi più prossimi ad un Ice isolato confinato ed estremo. Non ci sono animali e piante. I nostri vicini sono alla base russa di Vostok a 600 km. Vedi bianco e solo bianco dappertutto».
Cosa insegna un tipo di vita a queste latitudini?
«Che una delle cose più importanti è il sapersi arrangiare e riuscire a risolvere problemi, bisogna contare solo su se stessi. Vivere in Antartide ci fa capire come sia piccolo l'uomo di fronte all'immensità della natura».
La cosa più stupefacente?
«Le aurore polari bellissime, ho fatto foto a -70 gradi. Poi in Antartide ci sono dei suoni particolari, il vapore che ti esce dalla bocca emette un suono sordo e il ghiaccio fa un rumore strano perchè manca l'umidità».
Cosa succede dopo l'Antartide?
«Un anno a Concordia è stato un anno di stop e di pausa. Ho lavorato come assegnista dell'istituto di scienze polari del CNR. Ora dovrò cercare un altro contratto di ricerca, sto facendo domanda a Trieste al vecchio lavoro l'Istituto nazionale di Astrofisica. Se tornerò in Antartide? Non lo escludo ma non sarà immediato. Un'esperienza così estrema ha necessità di essere metabolizzata».

 

Ultimo aggiornamento: 19:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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