Armando Manca: «Io, figlio della Mala. Ecco cosa vuol dire». Il padre era un boss di Maniero

Il genitore Giampaolo scontò la pena, divenne volontario e poi scrittore (tre libri in pochi anni e il ricavato devoluto in beneficienza)

Domenica 12 Febbraio 2023 di Claudio De Min
Armando Manca

VILLORBA - Armando Manca ha 48 anni, vive a Villorba, in provincia di Treviso, ha uno sguardo magnetico che mescola dolcezza e risentimento, apertura e diffidenza, e dentro si intravvede quello che è stata la sua vita che, per spiegarla e capirla, bisogna partire da un altro Manca, il padre Giampaolo, che oggi ha 68 anni, vive a San Vito al Tagliamento, e ai tempi della Mala del Brenta lo chiamavano "il Doge", ed era uno dei capi, visse di rapine, furti, estorsioni e traffico di droga, e alla fine davanti ai giudici ammise anche due omicidi, choccando perfino i famigliari, che molte cose le sapevano ma non tutto.

Una vita dentro e fuori dal carcere, poi dentro per quasi trent'anni di fila, 36 e otto mesi in tutto, fra una condanna e l'altra.

Giampaolo scontò la pena, pagò il debito, divenne volontario, e perfino scrittore (tre libri in pochi anni e il ricavato devoluto ad associazioni che sostengono bambini e malati di autismo, come Alphabeta), e oggi va nelle scuole a raccontare la sua tragica vicenda e quanta sofferenza ha seminato lungo il cammino, e i rimorsi che si porta dentro e il suo cattivo esempio come monito per chiunque fosse tentato dall'idea di mandare al macero allo stesso modo se stesso e i suoi cari.
Armando oggi è diventato papà, sembra rasserenato, al punto da affidare alla compagna Mara Foglia («Il pretesto del nostro incontro è stato proprio la presentazione di "All'Inferno e Ritorno" il libro di mio suocero», svela l'autrice), il racconto accorato di quegli anni, fra sofferenze ed eccessi, lontano dalla malavita, sì, ma anche lontano anni luce da una vita normale: «Per la prima volta adesso sono felice, l'incontro con Mara è stato un regalo enorme, avevo bisogno di raccontare, mi sono aperto con la donna che finalmente mi ha cambiato la vita» racconta. «Parlava, parlava, voleva liberarsi, come un fiume in piena, per lui è stata una terapia. Così è nata l'idea del libro, spinta anche da suo padre che mi ha incoraggiato a scriverlo», conferma la compagna, un matrimonio alle spalle (come Armando del resto), mentre accanto a lei c'è James, due anni, il suo terzo figlio, che sorride sempre.
C'è tutto nel libro "Armando", la storia del figlio di Giampaolo Manca, il "Doge", ex membro della Mala del Brenta (edizioni Amazon Italia, 160 pagine), scritto da Mara con dedizione e partecipazione, pagine che raccontano cosa significa essere il figlio di Giampaolo Manca, vivere un'esistenza in continua altalena fra estasi e terrore, fra il denaro che girava a fiumi, il lusso, ma anche le fughe, le improvvise difficoltà economiche, l'assenza perenne del padre - che però, al tempo stesso, era una presenza ingombrante -, l'umiliazione di essere evitato da tutti, la colpa di essere "il figlio di". Fin da piccolo. «E infatti un po' mi sono sempre sentito in colpa», ammette.


IL RICORDO
Aveva 8 anni e dormiva quando la polizia fece irruzione in piena notte, urla e rumori, manette e caos: arrestarono il padre, buttarono tutti giù dal letto, compreso il piccolo Armando, e lo interrogarono, persino, racconta Mara nel libro: «E tu Armando, cosa mi dici di tuo padre?» gli chiese il comandante. E poi quella maestra che, al ritorno in classe, lesse l'articolo che parlava del blitz in casa Manca: «Fui emarginato, condannato per sempre a sopportare il peso del mio cognome. Eppure, non ho fatto come quelli che cercano di cancellare ogni traccia del passato, io non mi sono mai nascosto e continuerò ad affrontare il giudizio delle persone, perché non ho fatto mai niente di male, e non ho niente di cui vergognarmi».
Il libro è una scintilla che scocca alla nascita del figlio, accesa dalla voglia di parlare a tutti i genitori, dall'urgenza di dare un messaggio forte, di far capire quanto male possano fare ai figli. Ancora Armando: «Mio padre viveva in una sorta di delirio di onnipotenza, soldi e potere erano i suoi unici riferimenti, gli dei ai quali si rivolgeva, l'idea che tutto questo facesse soffrire la sua famiglia e costringerla ad una vita da incubo non lo sfiorava neppure. E del resto, se mio padre è diventato quello che è stato, anche qui c'è un genitore di mezzo, mio nonno, che picchiava i figli per un nonnulla e dal quale i figli sono scappati, cominciando una vita di strada che li ha portati all'abisso, ragazzi di famiglia benestante diventati delinquenti».
Una vita sopra e sotto le righe, fin da bambino, e non per scelta, ovvio, quella di Armando. Come in quella vigilia del Natale 1978, in cui dal lussuoso albergo di proprietà della nonna paterna, in cui abitava con la famiglia a 4 anni, affacciandosi alla finestra, vide arrivare una "topa" guidata da Babbo Natale (in realtà zio Fabio, il gemello e complice del padre), piena di regali tutti per lui, decine, forse centinaia di pacchetti, un valore di 3 milioni dell'epoca, pura follia, l'esagerazione debordante di chi in quei tempi guadagnava montagne di soldi in una notte o grazie al traffico di cocaina.


LE FUGHE
La mamma come ancora di salvezza, ma poi anche la mamma si smarrì nel labirinto della depressione. La vita con la nonna, la paura di perdere anche lei, quando le assistenti sociali si presentarono alla porta di casa per prelevare il piccolo. I quattro anni vissuti in pensione, un'esistenza senza riferimenti, da Venezia a Roma, dall'Uruguay a Marghera, le fughe e le visite al padre in carcere: «E ogni volta che sembravo sul punto di trovare un equilibrio si scappava di nuovo, addio amicizie, addio legami. Urlavo che no, non volevo, non era possibile, ma tutto era inutile». Un rapporto, quello con il padre, ricucito sì, ma fino ad un certo punto: «Amore e odio, ancora oggi, amore perché è mio padre, odio per quello che mi ha fatto passare».
E poi le passioni, alle quali Armando si aggrappava per cercare un varco nel labirinto, quella quasi maniacale per il proprio corpo, per la bicicletta e il ballo, la musica, il jazz, l'esibizionismo, una carriera da spogliarellista: «Così mi sentivo realizzato, ed era anche un modo per stare lontano dalla schifezza che trovavo ogni volta che tornavo a casa, quell'aria cupa, depressa che mi distruggeva giorno dopo giorno».


IL FUTURO
Armando ha vissuto chissà quante volte, e ha fatto di tutto: il Dj, l'importatore di pesce dall'Ecuador, il ristoratore. E' stato proprietario e dipendente e anche sul punto di impazzire, ha guadagnato, sperperato, ha ceduto alla rabbia e alla depressione, si è risollevato, ha distribuito amore e tenerezza, si è sentito rifiutato e amato, fino a diventare papà a 46 anni, una sorpresa anche per lui («Non avevo mai pensato ad avere un figlio e non mi era mai interessato»), un regalo straordinario.
È adesso, con la nuova famiglia, che la sua vita si può dire definitivamente cambiata? «Spero di sì sussurra -, anche se sarà impossibile cancellare quarant'anni di sofferenza, di sicuro c'è molta gioia e un'aria pulita attorno a me, Mara, mio figlio e i numerosi progetti che sto portando avanti, dalla promozione del libro alla realizzazione di un film sulla nostra storia e altro ancora». Il cielo sembra tornato sereno, però non del tutto, c'è un'ombra anche sul nuovo sorriso di Armando: «Un giorno dovrò raccontare tutto questo a mio figlio e non sarà facile, né per me né per lui».
 

Ultimo aggiornamento: 13 Febbraio, 11:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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