Tina Anselmi, il ricordo della nipote Emanuela: «Era una donna eccezionale»

Martedì 1 Novembre 2022 di Elena Filini
Tina Anselmi assieme alla più grande delle sue nipoti, Emanuela Guizzon

CASTELFRANCO - A diciassette anni Tina sceglie da che parte stare e diventa staffetta partigiana. A diciassette anni Emanuela vorrebbe essere solo un’adolescente come tante. Non può: sono gli anni di piombo e un attentato ha da poco sfiorato la sua famiglia. Diciassette anni: quello che sei, quello che vorresti essere, quello che il destino ti assegna. «Oggi i diciassettenni non sanno neppure chi sia Tina Anselmi. È il momento di agire: ben venga il film sulla sua vita. Ognuno di noi cerca di fare quello che può per far conoscere chi fu davvero il Ministro Anselmi. Se abbiamo un sistema sanitario nazionale lo dobbiamo a lei. Perché diciassette anni è l’età delle scelte». C’è un prima e un dopo nella vita della famiglia Guizzon Anselmi. L’8 marzo 1980 una bomba viene individuata e disinnescata nella loro casa. Se fosse scoppiata, sarebbe stata una strage. Emanuela Guizzon, nell’anniversario dalla morte di Tina Anselmi, racconta le cose che a pochi ha detto; racconta di anni difficili, blindati in casa, con ogni spostamento tracciato. «Anni di solitudine, in cui la musica è stata il mio rifugio». È la nipote maggiore di Tina, con la zia ha vissuto per più di cinquant’anni. Per la prima volta accetta di ricordare gli anni di piombo, l’attentato fallito alla prima donna ministro in Italia. «Eravamo tutti in pericolo, sono stati anni di forti tensioni famigliari. Quando fu nominata a capo dell’inchiesta sulla P2 in casa è stato un crescendo di tensione; avevo 17 anni, e nell’Ottanta c’è stato l’attentato.

Anni che ci hanno segnato profondamente».

Che adolescenza è stata?
«Blindata. Non avevo libertà di movimento, avevamo i telefoni sotto controllo. Facevi una telefonata col moroso ed eri ascoltata, ti mettevi d’accordo a scuola per andare a mangiare un gelato in un sabato in primavera e poi non potevi andare. O venivi scortata, o ti passavano davanti le volanti. Noi dovevamo essere sempre vigili, se qualche auto rallentava era necessario memorizzare le targhe».

Come viveva questa situazione?
«Con ribellione. Accettavo un invito e poi magari arrivavano i carabinieri in borghese. A volte ricevevo un sì ad uscire, arrivavo alla porta e mio padre mi richiamava in casa. Era davvero snervante».

Esisteva una via di fuga?
«Ho vissuto una specie di adolescenza negata, la musica mi è stata di aiuto per elaborare. Sono diplomata in pianoforte. È difficile da spiegare a tanti anni di distanza: io ero molto arrabbiata».

C’è una cosa che la fa arrabbiare ancora...
«Noi per molto tempo non siamo esistite come persone, per molta gente eravamo la porta di accesso al Ministro Tina Anselmi. Oggi mi sento dire che prendo il vitalizio e non ho bisogno di lavorare. Non esiste nessuno che abbia in quanto nipote diritto al vitalizio».

Eppure sua zia per lei è stata una vice mamma, il vostro legame è sempre stato saldo.
«Era persona eccezionale. Attenta ai nostri bisogni, che si confrontava anche su temi spinosi: una volta mi chiese cosa ne pensassimo noi studentesse di liceo sulla legge a favore dell’aborto. In questo momento credo che zia sia un modello come ce ne sono pochi. Io credo di averla capita, abbiamo un carattere simile».

Ma com’era vivere con lei?
«Riceveva il lunedì a Castelfranco. Ma succedeva spesso che arrivasse a pranzo, con ospiti. Ricordo nitidamente quando venne Romano Prodi, all’epoca presidente dell’Iri. Anche i suoi figli studiavano al Conservatorio come noi. Vedere Prodi e mia zia a tavola mi fece pensare che nessuno nasce supereroe, ci si costruisce con la forza di volontà».

Cosa facevate insieme?
«Andavamo in vacanza al passo Rolle, ricordo lunghe camminate. Avevo dieci anni. Periodi bellissimi. Poi, durante l’adolescenza riuscii anche a farla arrabbiare. Per tre mesi non mi rivolse la parola».

Quando l’ha vista davvero felice?
«Quando è passato il congedo di maternità, forse è stato il momento in cui l’ho vista più felice. Disse subito a noi nipoti: un domani se volete diventare mamme non dovrete scegliere se stare a casa o lavorare, potrete fare entrambe le cose. Ha sacrificato la sua vita a una certa idea di futuro al femminile».

La vedeva preoccupata o amareggiata durante gli anni della commissione P2?
«Credo che a volte si chiedesse “chi me lo fa fare”. Furono anni durissimi. Però lei pensava sempre alle generazioni del domani, e guardandoci sembrava dicesse “so perché lo faccio”. Noi nipoti eravamo un po’ il suo binario».

Ultimo aggiornamento: 2 Novembre, 08:23 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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