VENEZIA - «Con poco salvi un bambino in Africa» era scritto su numerose campane per la raccolta di indumenti usati, posizionate a Treviso. Ma un'inchiesta ha fatto emergere che quegli abiti non erano destinati ad essere donati a persone povere del terzo mondo: venivano venduti, infatti, da due società padovane ad alcune aziende toscane che, a loro volta, dopo averli sanificati, li immettevano nel mercato. Il tutto a scopo di lucro. Per quei fatti, che risalgono al 2016, la Procura distrettuale di Venezia ha messo sotto accusa cinque persone, tutte imputate di traffico illecito di rifiuti; in due devono rispondere anche di truffa per aver indotto i cittadini a consegnare i loro indumenti usati credendo di aiutare la popolazione in Africa, mentre invece l'operazione era un collaudato business.
GLI INDAGATI
Ieri mattina, di fronte al giudice di Venezia, Gilberto Stigliano Messuti, si è svolta l'udienza preliminare, conclusasi con il rinvio a giudizio di tutti: il processo si aprirà a Treviso il prossimo 20 dicembre. Sotto accusa sono finiti i padovani Claudio Gemo, 42 anni, di Tribano, e Devil Greggio, 46 anni di Arre, responsabili rispettivamente delle società Gemo srl di Bagnoli di Sopra e Asia di Conselve: per loro l'accusa è di traffico illecito di rifiuti e truffa. Gli altri imputati, invece, devono rispondere soltanto di traffico illecito di rifiuti: si tratta di Alessandra Guarducci, 61 anni, di Pistoia, Alfio Marconi, 54 anni, di Viterbo e Paolo Rossano Bindini, 72 anni di Prato, responsabili rispettivamente delle società Barni srl, Euro Recuperi e Sabiro.
LA DENUNCIA
A far emergere i presunti illeciti è stata la denuncia presentata dalla società Contarina, l'unica autorizzata dalla Regione (e dai vari Comuni) a posizionare le campane per la raccolta degli indumenti usati, la quale segnalò che le campane dei concorrenti non avevano alcuna autorizzazione. A conclusione dell'inchiesta, la Procura di Venezia ha contestato alle due società padovane, e di conseguenza alle altre, di aver trattato gli abiti usati senza rispettare le procedure obbligatorie previste per i rifiuti, in quanto gli indumenti usati così vanno considerati. Nell'udienza di ieri la difesa (avvocati Roberto Bondì, Cinzia Silvestri, Paola D'Alessandro, Nicola Badiano e Francesco Alunno) ha cercato di dimostrare che non è stato commesso alcun illecito, ma il giudice ha ritenuto che spetti al Tribunale, nel corso di un dibattimento pubblico, il compito di ricostruire i fatti ed accertare l'eventuale sussistenza di reati.