ROVIGO - Nel vino “bio” è Verona la provincia a svettare in Veneto. Ma il Polesine, anche senza grandi numeri e tradizioni vinicole, sta facendo grandi passi in termini percentuali, e oggi è al primo posto regionale nell’incidenza biologica in rapporto alla superficie coltivata a vite (“vitata”). Dei 264 ettari di superficie agricola utilizzata a vigneti, infatti, ben il 30% è dedicato alla produzione di vino biologico. Solo in termini percentuali (e non assoluti, perché resta Verona la provincia con più ettari di vigneti bio: 3.563,92), il Polesine supera tutti nell’incidenza: Padova è seconda con il 19% per superficie biologica sulla superficie vitata complessiva, seguono Venezia (13%) e Verona (12,5%), poi Vicenza (11,9%), quindi Belluno (9,5%) e ultima Treviso, con il 5,5% di ettari “bio” sul totale di 41.234 ettari di superficie dominata dalle vigne nel 2021. La media del Veneto è pari al 10,07%: un risultato in costante crescita, visto che nel 2018 si attestava al 7,04%.
A comunicarlo è Confagricoltura Veneto che ha fornito i numeri del 2021: +10,27 per cento di ettari vitati bio, aumentati in un anno da 8.712 a 9.607, rispetto al totale di 95.416 ettari di superficie vitata, secondo i risultati elaborati da Veneto Agricoltura su dati del Sistema nazionale agricoltura biologica (Sinab) e dell’agenzia regionale Avepa.
Superfici raddoppiate
In Polesine, in particolare, le superfici di vigneti coltivati con metodi naturali sono più che raddoppiate tra il 2020 e il 2021: +218,93 per cento. È la crescita in termini percentuali più alta in Veneto. Pur passando da 24,91 a 79,45 ettari bio in un solo anno, la provincia di Rovigo - come detto - resta molto lontana in termini assoluti dalle “superfici vitate bio” che si registrano in terra scaligera (3.563,92 ettari), a Treviso (2.265,90), Padova (1.478,46), Venezia (1.305,84) e Vicenza (889,12). Ma mostra comunque la forte vocazione dei viticoltori locali a non utilizzare prodotti chimici di sintesi per la concimazione dei terreni, per la lotta alle piante infestanti, ai parassiti animali e alle malattie delle piante.
La spinta della Doc
«Negli anni 90 si diceva che dal Polesine non poteva venire vino buono, e c’erano gli incentivi per estirpare i vigneti e seminare mais - ricorda Gagliardo -. Invece sulla spinta del prosecco è cambiato il mondo». Un’altra spinta è arrivata dalla Doc numero 29 in Veneto: «Il Pinot grigio è diventato una Doc - spiega il direttore di Confagricoltura, Massimo Chiarelli - e quindi ha avuto una valenza e un interesse maggiore». Tra i produttori polesani «Corte Carezzabella a San Martino di Venezze, ad esempio - continua Chiarelli - ha fatto degli investimenti importanti, arrivando a 20 ettari di vigneti bio. Questa tipologia di vigneti si trova comunque nell’Alto, Medio e Basso Polesine; non c’è una vera e propria zona vocata al vino bio in Polesine».
«Abbiamo rilanciato una tradizione di famiglia e del fondo, che ora, con una ventina di ettari tutti biologici, è diventata la nostra produzione principale», racconta il referente di Corte Carezzabella e presidente della sezione “Vitivinicoltura” di Confagricoltura Rovigo, Tommaso Reato. «Da quando l’azienda agricola ha intrapreso la coltivazione con metodo biologico e abbiamo ottenuto la certificazione - continua - abbiamo cominciato a curare anche la vinificazione, appoggiandoci a una cantina esterna e con la supervisione di un enologo polesano, Francesco Mazzetto, per portare avanti un progetto di qualità. E così, il progetto vitivinicolo è arrivato a darci diverse tipologie di vino, da varietà come il Merlot e il Cabernet con viti che hanno più di 20 anni. Poi recuperando un vitigno autoctono come la Turchetta: l’impianto è stato fatto da 4-5 anni e ora è anche in produzione. E poi ci sono i bianchi come il Pinot grigio delle Venezie doc e il Manzoni. Le nostre etichette, così, spaziano dal bianco fermentato in bottiglia, ai rosati fino ai rossi: facciamo vendita diretta e ora le bottiglie si cominciano a trovare, oltre che nel nostro agriturismo, anche in vari locali del Polesine». Salute!