DELTA - L’idea di un ritorno delle trivelle nel tratto di mare Adriatico compreso tra il 45. parallelo e il parallelo passante per la foce del ramo di Goro del Po, non piace ad alcuno nel Delta. Ci si ricorda fin troppo bene il recente passato fatto di alluvioni e la subsidenza figlia delle precedenti trivellazioni, unita al bradisismo naturale, che non molla la presa su un territorio che anche per questo motivo, nell’anno orribile della siccità, ha visto il mare risalire per più di trenta chilometri.
AGRICOLTORI PREOCCUPATI
Anche la prima cittadina di Ariano nel Polesine, Luisa Beltrame, pone l’accento sulla fragilità di questa terra. «Il tema è certamente delicato e il Delta è un territorio fragile. Nello stesso tempo dobbiamo anche tenere conto che le emergenze che il momento storico che tutto il nostro pianeta sta attraversando necessita anche di altre valutazioni. Tutte le iniziative per la tutela del Delta sono state fatte e doverosamente sostenute dal territorio negli anni passati e dalle attuali amministrazioni. Oggi sulla base delle decisioni che saranno dal Governo adottate, sarà nostro compito chiedere il massimo delle garanzie affinché sia assicurato un monitoraggio costante ed efficace sui potenziali effetti che potranno manifestarsi a seguito dell’estrazione del metano».
«Non possiamo permettere che la nostra terra sia di nuovo violata, in cambio di ipotetici sconti su bollette o alla pompa, vantaggi che fra l’altro i polesani non hanno mai ricevuto nemmeno da quando ospitano il rigassificatore che tutti possiamo ammirare dalle nostre spiagge - affermano in una nota dal Pd di Adria - il Basso Polesine è un territorio fragile, tenuto costantemente in equilibrio, che va difeso e tutelato, non trivellato, e questo ci interroga sul senso che dobbiamo attribuire quando sentiamo parlare di autonomia del Veneto, perché non ci interessa essere autonomi se non possiamo esprimerci su questioni così vitali per noi stessi».
IL NO IN REGIONE
Dalla sponda regionale, il portavoce dell’opposizione Arturo Lorenzoni parla, infine, di scelta inopportuna e inadeguata. «Inopportuna per ragioni diverse: da un lato il pericolo della subsidenza dei territori rivieraschi, dall’altro la persistenza sulla ricerca di nuove fonti fossili che ci siamo impegnati invece ad abbandonare da qui al 2050. Inadeguata perché dà una risposta molto parziale in termini di sicurezza energetica (4 miliardi di metri cubi al massimo per una decina di anni) e non attiva rispetto alle ricadute economiche sul territorio che una seria politica di sostituzione dei combustibili fossili può generare, ad esempio con la produzione di biometano, che ha una potenzialità di oltre 7 miliardi di metri cubi l’anno indefinitamente e senza pesare dal punto di vista climatico».
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