Il perito: «Il Tanko era un'arma da guerra difficile da fermare»

Sabato 16 Marzo 2019 di Francesco Campi
Un manifestante davanti al tribunale
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ROVIGO - «Era lento, ma non fermabile, una “casamatta mobile”, particolarmente indicato per un combattimento urbano, in grado di resistere alle munizioni in dotazione alle forze dell’ordine, trattato con vernice ignifuga e con una protezione balistica 3 secondo i livelli stabiliti dalla Nato: per metterlo fuori uso si va in uno scenario di guerra».
 
 
 


Queste, secondo l’ingegner Giampiero Costanzo, uno dei massimi esperti di mezzi militari, sentito come consulente del pm Sabrina Duò, erano le caratteristiche del Tanko, la ruspa blindata sequestrata dai Ros di Brescia nell’aprile del 2014 in un capannone a Casale di Scodosia, dove era in costruzione come riedizione del primo Tanko con cui i Serenissimi nel maggio del 1997 avevano occupato piazza San Marco. Su questo secondo Tanko è in corso il processo che vede 15 “indipendentisti” chiamati a rispondere davanti al Collegio del tribunale di Rovigo dell’accusa di fabbricazione e detenzione di arma da guerra.
 
Insieme alla ruspa blindata erano stati sequestrati anche dei pezzi ritenuti essere di un cannoncino artigianale, decritti ieri nei dettagli dai due periti che hanno eseguito le prove di sparo. «L’effetto è stato paragonabile ad un’arma da caccia ai rinoceronti. Superiore alle armi da guerra di calibro più piccolo. Nella prova da 10 metri con un vetro blindato che la casa madre garantisce come resistente ai calibri da guerra, ha creato una deformazione notevole. Dopo il quarto colpo il vetro era pronto per essere oltrepassato».
Nelle prove di sparo, hanno poi precisato, non hanno potuto mettere assieme tutti i pezzi, perché il giudice per le indagini preliminari Pietro Mondaini aveva ritenuto che nell’assemblaggio, in particolare della cartuccia con i due elementi di ottone, ritenuti i bossoli, e le 104 biglie di acciaio ritenuti i proiettili, mancando l’innesco e, soprattutto, la polvere da sparo, sarebbero prepotentemente entrate in gioco le loro abilità di esperti di armi. «Abbiamo dovuto cercare delle cartucce in commercio, ma del calibro giusto non ce n’erano né militari, né civili: ne abbiamo trovata una Fiocchi, a piombo, impiegata nei processi industriali per la pulizia degli altoforni, che si adattava ma non perfettamente. A nostro avviso il munizionamento con le palle d’acciaio avrebbe avuto più energia». A processo si trovano: Flavio Contin, di Casale di Scodosia, 76 anni, artigiano in pensione, già protagonista del blitz sul campanile del ‘97; il fratello gemello Severino Contin, residente a Urbana; Marco Ferro, 52 anni, di Lendinara, residente ad Arquà Polesine; Luigi Massimo Faccia, 64enne di Conselve; Sergio Bortotto, 57 anni, nato a Vicenza ma residente a Villorba, nel Trevigiano; Luca Vangelista, fabbro, nato a Rivoli ma residente a Verona, 55 anni; Tiziano Lanza 57 anni di Bovolone; Corrado Turco, 51enne veronese di Isola Rizza; Stefano Ferrari, 49 anni, nato a Bergamo ma residente a Sulzano, in provincia di Brescia; Andrea Meneghelli, 53 anni, nato a Isola della Scala ma residente a Bovolone; il 37enne moldavo Alexandru Budu, residente a Cremona; Pierluigi Bocconello, 70 anni, di Chivasso; Antonio Zago, 46 anni di Bovolone; Monica Emanuela Zago, 53 anni, di Isola della Scala, residente a di Bovolone; Michele Cattaneo, 39enne bresciano, tornitore di professione.
Ultimo aggiornamento: 11:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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