Serenissimi a processo: teste rifiuta di parlare in italiano davanti al giudice

Sabato 20 Luglio 2019
Un gruppo di indipendentisti veneti davanti al tribunale di Rovigo
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ROVIGO - «Non parlo italiano». Questa la secca frase pronunciata da un testimone all’invito del presidente del Collegio Angelo Risi. Ma non c’è stato certo bisogno di richiedere un interprete: «Mi parlo solo la lengua veneta», ha ribadito il teste, sentito, non a caso, nel corso dell’udienza di ieri del processo sul “tanko”, la ruspa blindata sequestrata a in un capannone a Casale di Scodosia nell’aprile del 2014, che vede 15 indipendentisti veneti e lombardi accusati dell’ipotesi di reato di fabbricazione e detenzione di arma da guerra. La storia sfociata in questo processo è proprio quella che si snoda nel sottobosco del secessionismo veneto.   A conferma, tuttavia, della difficoltà di individuare una “lingua veneta”, il fatto che, ad un certo punto, visto che il testimone continuava a parlare in dialetto, sia stato lo stesso pm Sabrina Duò a sottolineare come, pur essendo veneta anche lei, non riuscisse a comprendere esattamente quanto veniva detto, decidendo poi di formulare domande che richiedessero una risposta secca, sì o no, dal momento che l’uomo parlava uno stretto dialetto veronese, diverso dal polesano. Che, fra l’altro è a sua volta indefinibile viste le differenze lessicali e d’accento che si incontrano da Melara a Porto Tolle, passando per Pincara. 
DOMANDE “SECCHE”
Aspetti che, comunque, sono stati volutamente messi in secondo piano, per evitare di connotare politicamente un processo che inizialmente aveva avuto un enorme risalto e un fortissimo impatto negli ambienti dell’indipendentismo. Alla base di tutto, infatti, le indagini della Procura di Brescia per l’ipotesi di reato di “associazione con finalità di terrorismo ed eversione dell’ordine democratico”. Proprio a Brescia 48 “secessionisti” veneti, lombardi, ma anche sardi, organizzatori o aderenti al gruppo “L’Alleanza”, che secondo l’accusa si proponeva di compiere «atti di violenza come l’occupazione militare di piazza San Marco a Venezia per costringere i poteri pubblici a concedere l’indipendenza al Veneto e ad altre Regioni del Nord Italia determinando lo scioglimento dell’unità dello Stato» erano stati rinviati a giudizio, anche se l’accusa era stata derubricata da quella di terrorismo a quella di associazione sovversiva. La Corte d’Assise del Tribunale di Brescia ha poi accolto però l’eccezione di incompetenza territoriale disponendo che tutto passasse a Rovigo.
GLI IMPUTATI
E a sfociare in un processo è stata, poi, solo l’accusa relativa alla costruzione della presunta arma da guerra, per la quale sono imputati in 15: Flavio e Severino Contin, di Casale di Scodosia, 76 anni; Marco Ferro, 52 anni, di Lendinara; Luigi Massimo Faccia, 64enne di Conselve; Sergio Bortotto, 57 anni, di Villorba; Luca Vangelista, fabbro, nato a Rivoli ma residente a Verona, 55 anni; Tiziano Lanza 57 anni di Bovolone; Corrado Turco, 51enne di Isola Rizza; Stefano Ferrari, 49 anni, di Sulzano, in provincia di Brescia; Andrea Meneghelli, 53 anni, residente a Bovolone; il 37enne moldavo Alexandru Budu, residente a Cremona; Pierluigi Bocconello, 70 anni, di Chivasso; Antonio Zago, 46 anni di Bovolone; Monica Emanuela Zago, 53 anni, di Isola della Scala, residente a Bovolone; Michele Cattaneo, 39enne bresciano, tornitore di professione.
Ultimo aggiornamento: 22 Luglio, 10:08 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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