Giovanni Miani, l’esploratore rodigino che cercò le sorgenti del Nilo

Mercoledì 8 Dicembre 2021 di Elisabetta Zanchetta
L'esploratore Giovanni Miani, cui Palazzo Roncale dedica una mostra

ROVIGO L’”Indiana Jones dell’Ottocento” verrà celebrato a Rovigo, a palazzo Roncale, in una mostra che lo vedrà protagonista. Si tratta di “Giovanni Miani. Il "Leone bianco del Nilo”, evento che dal 12 marzo al 26 giugno 2022 racconterà le imprese e le scoperte di un rodigino che dedicò la propria vita alla scoperta delle sorgenti del Nilo. Tra storia, geografia ed etnografia, la rassegna intende raccontare la vicenda di questo personaggio irrequieto e assolutamente fuori dagli schemi, di indomito coraggio e volontà ferrea, amante del rischio e dell’avventura, sfortunato inseguitore di grandi ideali come di riscatto sociale. Miani sognava la celebrità e per tutta la vita inseguì un riconoscimento sociale che però mai riuscì a ottenere.

LA GIOVINEZZA
Figlio di una domestica, mai riconosciuto dal padre, a 14 anni lascia Rovigo, dov’era nato il 17 marzo del 1810, per raggiungere la madre a Venezia, al servizio del nobile Pier Alvise Bragadin. Quest’ultimo lo accoglie, dandogli un’istruzione e destinandogli, nel suo testamento, un cospicuo lascito, che il giovane dilapida velocemente nel progetto di pubblicare un’enciclopedia universale della musica; il progetto naufraga al primo volume.
Lui stesso scrive musica e frequenta i conservatori di mezza Europa, tentando senza fortuna anche la carriera di baritono. Rientrato a Venezia, Miani partecipa ai moti del ’48-’49 contro la dominazione austriaca, ma qualche giorno prima della definitiva capitolazione prende la via del volontario esilio.
LA SPEDIZIONE
Raggiunge Costantinopoli e poi l’Egitto, dove per un periodo presta servizio come pedagogo e insegnante di francese e italiano. Nel frattempo si fa strada in lui il sogno di individuare le sorgenti del Nilo - ricerca che stava appassionando i geografi di tutto il mondo - che nella sua idea coincidevano con la mitica regione dell’Ofir, la terra dalle immense ricchezze ricordata dalla Bibbia. Nel 1859, un modesto finanziamento del governo francese gli consente di avventurarsi in una spedizione che lo conduce a Khartoum (l’attuale capitale del Sudan), dove giunge il 20 luglio del 1859. Da Khartoum Miani riparte senza i compagni di spedizione, decisi a non seguirlo. Raggiunge Gondokoro, oltre 1500 chilometri a sud della città, trascrivendo dettagliatamente il viaggio nel suo diario e in una mappa del territorio destinata alla Società Geografica Francese. Il suo viaggio tuttavia è destinato a terminare poco oltre Galuffi, non lontano dal grande lago Nianza (poi Victoria) senza raggiungerlo: una febbre persistente e una piaga ad una gamba, unite alle ostilità del clima e delle popolazioni indigene, lo costringono ad abbandonare il progetto. 
“LEONE BIANCO”
Del suo passaggio lascia traccia sul tronco di un tamarindo. Per gli indigeni era intanto diventato il “Leone Bianco”, tributo al suo coraggio e alla sua candida barba. Dopo il rientro in Europa con 14 casse zeppe di 1800 reperti (oggi esposti al Museo di Storia Naturale di Venezia), il mal d’Africa lo richiama a Karthoum, dove diventa direttore del nuovo zoo della città. Muore a Nangazizi nel novembre del 1872. La notizia della sua morte giunge a Venezia l’anno dopo e la sua tomba sarà rinvenuta solo nel 1881. I suoi resti saranno destinati all’Accademia dei Concordi della natia Rovigo. 
La mostra, che nasce da un’idea di Sergio Campagnolo, a 150 anni dalla morte dell’esploratore, è curata da Mauro Varotto, docente di geografia del Dipartimento di Scienze storiche, geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova e delegato della rettrice per i Musei e le collezioni dello stesso Ateneo, e da Alessia Vedova, responsabile dell’Ufficio Patrimonio artistico ed eventi espositivi della Fondazione Cariparo, che promuove l’esposizione. 

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