Chiuso il porticciolo, costò 1,7 milioni. L'ex gestrice: «Buttata fuori, ci investii un sacco di soldi, mancava tutto»

Sabato 23 Luglio 2022 di Elisa Barion
La palazzina mestamente sbarrata

ROVIGO - Stefania Giro, che dal 2011 è stata per 18 mesi titolare della gestione del porticciolo turistico, venne rimossa dalla struttura con uno sgombero che a quel tempo ha fatto molto scalpore. Tant'è che, come lei stessa racconta, «ho perso tutto. Le mie cose sono state accatastate nei magazzini, qualcuna è stata pure rotta, e mi sono stati chiesti più di duemila euro per andarmele a riprendere». Da allora, per sei anni, Stefania Giro, suo marito e la figlia sono stati aiutati dai suoceri, fino a quando, poco per volta, non sono riusciti a rifarsi una vita. Oggi il marito ha trovato un altro lavoro e lei si è arrangiata facendo i lavori più disparati: dalla lavapiatti alla donna di servizio, passando per i corsi di formazione pagati dalla Regione che «però - racconta - sono durati tutti il tempo di esaurire i fondi stanziati dalla Regione, poi, al momento dell'assunzione, non sono mai andati a buon fine». Oggi gestisce un home restaurant che ha ribattezzato Cascina del tempo perduto, una dimora di duecento anni affacciata sul Canalbianco ad Arquà Polesine.

NUOVO GESTORE
Peggio sono andate le cose per il porticciolo che è stato assegnato, tramite bando a Massimo Zanirato, ma non è più stato riaperto. E se dal canto suo Zanirato, mostrando gli spazi della struttura, fa notare quanti siano, ancora, gli interventi di adeguamento da realizzare per renderla funzionale, tanti altri li ha realizzati lui stesso, «tutti pagati da me. Si tratta di lavori che però vorrei fossero collaudati dai tecnici comunali» per una questione di responsabilità.
Dalle parti di Palazzo Nodari, evidenzia, nulla si è mai mosso. Anzi, qualcosa sì si sta muovendo, ma non nel senso cui si riferisce l'attuale gestore. Nel corso dell'ultimo consiglio comunale, l'assessore a patrimonio e lavori pubblici Giuseppe Favaretto, rispondendo a una interrogazione del consigliere Lorenzo Rizzato (Lega) ha fatto sapere che «siamo all'anteprima di un contenzioso con il gestore attuale perché ritiene di non poter avviare l'attività in quanto si sente danneggiato dal fatto che l'accesso al Canabianco non è stato dragato.

Noi, come amministrazione, siamo di parere contrario. Per evitare un contenzioso, che sarebbe costoso e lungo, credo che l'attività da auspicare, e su questo stiamo parlando con l'Interporto, sia che venga revocata la subconcessione all'amministrazione comunale e che l'Interporto prenda direttamente in gestione questa concessione. L'attuale gestore concessionario, rientrato delle spese di adeguamento dell'immobile che prevedeva che per i primi 7 anni non pagasse il canone, sta pagando regolarmente il canone stesso, ma non ritiene di attivare, rilanciare e avviare questa attività».

Deserti moli e accessi. Nel titolo: la palazzina mestamente sbarrata

REGIONE PROPRIETARIA
Il porto turistico rientra nel complesso immobiliare denominato Interporto di Rovigo di cui è proprietaria la Regione che costituisce l'oggetto della concessione sottoscritta tra la stessa Regione e la società Interporto di Rovigo spa. In particolare, l'area destinata a porto, su cui, come riporta una delibera regionale, «insistono una club house e un magazzino per rimessaggio natanti», è gestita in sub-concessione al Comune di Rovigo. E pensare che come riporta Stefania Giro, ai tempi della sua gestione si diceva che l'allora sindaco Bruno Piva glielo avesse tolto perché «aspirava a una più elevata gestione». Invece le vicissitudini successive hanno fatto sì che quel luogo adagiato lungo la riva del Canalbianco in cui svettano la struttura che dovrebbe funzionare come foresteria e struttura ricettivo-turistica, il capannone per il ricovero dei natanti e giù dalla banchina, nell'acqua in questo periodo bassissima del Canalbianco, i pontili per l'ormeggio delle imbarcazioni, rimanesse una cattedrale nel deserto.

«BUTTATA FUORI, MOLTI INVESTIMENTI FATTI»
Sono passati oltre dieci anni da quando Stefania Giro dice di essere stata buttata fuori dal porticciolo turistico lungo il Canalbianco che ha gestito per circa un anno mezzo, investendovi quello che aveva. Il tempo trascorso da allora non sembra aver lenito le ferite che quella vicenda le ha procurato. «Ancora mi viene da piangere, con tutto quello che mi hanno fatto passare. Ci ha rimesso anche la mia salute», si giustifica. Nonostante l'amarezza, Giro ricostruisce passo dopo passo i suoi mesi all'interno della struttura. È come un fiume in piena, di cose da dire ne ha tante e alla fine afferma: «Ho raccontato solo un quarto di tutto quello che potrei raccontare». E del porticciolo, realizzato lungo la sponda rodigina del Canalbianco, chiuso al pubblico e affidata, tramite bando, alla gestione di Massimo Zanirato, costata oltre 1,7 milioni di fondi europei, afferma: «Quel posto è un buco nero e mi hanno detto che tale deve restare». Perché «un buco nero»? Da qui parte il racconto di Stefania Giro. «La struttura è stata finita nel 2006 e io, dal 2008, ci sono stata sotto perché mi interessava prenderlo in gestione. Allora era stato fatto anche un bando: la gestione affidata a un privato a settemila euro l'anno. Feci la mia proposta, ma non venne considerata. Per un anno sono andata avanti a chiedere la struttura fino a quando non mi sono rivolta personalmente al Peti Committee Secretariat dell'Europa. Nel dicembre 2011, il sindaco allora era Bruno Piva, mi è stato assegnato con una delibera di giunta. Ribadisco: assegnato e non affidato in comodato d'uso. Dopo l'assegnazione, però, ho continuato ad andare in Comune quasi ogni giorno perché mi venisse fatto un contratto, invano».

Situazione desertica in un impianto costato 1,7 milioni dai fondi europei

L'IMPEGNO MESSO
Per gestire il porticciolo Giro racconta di aver fondato il Circolo nautico Porta mare che in breve ha raccolto le adesioni di oltre 160 soci. E anche grazie ai soci, ha eseguito all'interno e fuori una serie di interventi «perché aveva delle enormi mancanze come i termoconvettori, abbiamo raddrizzato le colonnine antincendio che c'erano, ma erano fuori uso, non c'erano gli allacci dell'acqua corrente, mancava un termostato per regolare il riscaldamento, abbiamo sistemato l'enorme caminetto che si trova al centro della club house perché la cappa non era cementata, il riscaldamento non funzionava perché la pompa era fuori uso, mai era stata fatta la manutenzione del montascale, mancano le luci nel piazzale, nell'officina delle imbarcazioni non c'era la caldaia, il tetto era danneggiato e la pioggia filtrava all'interno delle camera in cui ho dormito per due inverni. Per tutto quello che io e mio marito abbiamo fatto, mai abbiamo chiesto un centesimo».

PROBLEMI DA SEMPRE 
I problemi che Massimo Zanirato ha lamentato erano presenti da ben prima. Solo che per Stefania Giro non sono stati un ostacolo: «Nonostante tutto, ho provveduto a far funzionare la struttura nei modi richiesti dalla targa esposta all'interno del sito: navigazione interna, prolungamento della stagione turistica, accoglienza a basso costo e tutto ciò che il Fesr usato per costruire il sito prevedeva. Avevamo un buon numero di barche all'ormeggio a un euro al giorno, roulotte in parcheggio e nel capannone. Un'officina nautica funzionante, una gru per l'alaggio regalata da uno dei soci, avevamo comprato un bancone bar, solo per i soci, sempre senza chiedere neanche un centesimo al Comune, nei fine settimana e quasi ogni sera era piuttosto frequentato. Avevo provveduto a comprare addirittura due pedalò, messi gratuitamente a disposizione dei soci. All'interno c'era anche il Gruppo canoe Polesine, con i quali abbiamo collaborato dopo qualche iniziale screzio rapidamente risolto. Avevo comprato anche lettini e ombrelloni per prendere il sole, ma tutto questo non è bastato».

Ultimo aggiornamento: 11:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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