«Papà fatto a pezzi senza un perché». Si scava nella vita della famiglia Kurti

Giovedì 4 Agosto 2022 di Marina Lucchin
Seduto Shefki Kurti con la moglie; accanto a lui il figlio
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MASI (PADOVA) - Gli esperti del Ris cercano tracce di sangue ovunque, anche nell’appartamento che Shefki Kurti aveva faticosamente acquistato in via Ghirardini a Badia Polesine, a due passi da quel canale Adigetto in cui il suo corpo smembrato è stato ritrovato la settimana scorsa. E gli investigatori dell’Arma scavano nella vita del 71enne albanese e dei suoi familiari per trovare qualche indizio che possa portare alla scoperta dell’assassino. Il fascicolo per omicidio è al momento contro ignoti, ma gli inquirenti hanno la certezza che lo spietato killer dell’anziano sia qualcuno che aveva un legame - di qualsiasi tipo - con la famiglia della vittima. Intanto la domanda che tutti si pongono, da entrambe le rive dell’Adige, il che divide Badia, dove abitava la vittima, da Masi, dove si era trasferito il figlio Arben e dove ora è andata a vivere anche la madre Nadire, è una sola: “Chi poteva voler così male a Shefky tando da massacrarlo in quel modo. Lui, che era un uomo così mite”. 
 

LA FAMIGLIA
La famiglia Kurti è ben nota in entrambi i paesi, a cavallo del fiume: uno in provincia di Rovigo, l’altro in quella di Padova, dove tutti però si conoscono. E in particolare Shefki era una persona ben nota: in un comune di poco più di 10mila anime, sperso nella campagna padana, ora arsa dall’impietosa canicola di un’estate bollente, non era passato sotto traccia, negli anni ‘90 l’arrivo di quella famiglia albanese, salpata dal porto di Durazzo, loro città d’origine, durante una delle prime ondate del grande esodo dall’Albania, nel 1991. Di stranieri, all’epoca, ce n’erano ben pochi a Badia e Shefki, che all’ora aveva poco più di 40 anni, una moglie e due figli piccoli, si era integrato bene, dimostrandosi un grande lavoratore. Tutti lo ricordano quando, prima della pensione, correva di cantiere in cantiere con il suo furgoncino. Quando sono cresciuti, la figlia Alketa si è trasferita in Svizzera, mentre il figlio Arben, chiamato Benni, è rimasto nei dintorni, spostandosi di qualche centinaio di metri al di là dell’Adige, a Masi, ma con interessi ancora in Polesine.

Noto in zona come Dj, nel 2019 ha preso in gestione il Manfredini, la storica sala da ballo di Badia, che poi è stata trasformata nel club Malibù che sotto la guida di Kurti è diventato “Babylon”. Un investimento impegnativo, di cui Benni solamente ora si sta gustando i frutti, visto che, poco dopo l’apertura con la sua nuova gestione, il locale ha dovuto chiudere immediatamente a causa del Covid.


La porta della discoteca è proprio a fianco all’appartamento dove fino a una settimana fa abitavano mamma e papà, ora sprangato e sigillato dall’Arma dopo il sequestro. Appartamento che sorge al primo piano, sopra un magazzino, dove nelle scorse ore i vicini hanno visto le tute bianche degli esperti del Ris esaminare centimetro per centimetro la casa in cerca di qualche indizio. Di nessun aiuto sono state le telecamere, poste dalla famiglia a sorveglianza dell’ingresso dell’abitazione. E pure il cellulare dell’uomo, per ora, non ha dato informazioni utili: come ha spiegato la famiglia, il 71enne l’ha lasciato a casa prima di uscire il 22 luglio, dopo un litigio con la moglie. «Una discussione, più che altro» ha precisato il figlio Benni ieri mattina dalla sua abitazione a pochi passi dalla piazza di Masi. Lì, nella casetta a schiera, si sono rifugiate anche la madre - la cui abitazione è, appunto, sotto sequestro - e la sorella Alketa, giunta in fretta e furia dall’estero, quando ha saputo della scomparsa del padre. 
I due fratelli si fermano alla porta d’ingresso. Ci spiegano che da due giorni cercano di non piangere. «Ci sono i nostri bambini qui, non vogliamo che ci vedano così. È tutto un via vai di amici e parenti e ogni volta che entra qualcuno sono lacrime» assicura Benni, che poi aggiunge: «Non c’è nessuno che voleva male a papà o a noi». E allora chi potrebbe aver fatto del male a Shefki? «Non ne ho idea, i carabinieri ci stanno lavorando. Ho fiducia che troveranno il colpevole». 


IL MISTERO
E la sorella Alketa spiega anche il “mistero” della denuncia di sparizione fatta solo dopo il ritrovamento del corpo e molto dopo che l’uomo era uscito di casa, il 22 luglio, come dichiarato all’Arma. «Avevamo avvisato i carabinieri già domenica 24 luglio». Ma in quel momento la famiglia Kurti non aveva ipotizzato una sparizione, ma un allontanamento volontario. In quella telefonata al 112 i familiari avevano segnalato solo l’abbandono del tetto domestico da parte dell’uomo. Che si sarebbe allontanato di sua spontanea volontà da casa dopo un litigio con la moglie, senza prendere con sé nulla, nemmeno il telefonino. I vicini di casa nei giorni scorsi assicuravano che l’auto dell’uomo, una Citroen nera fosse sparita, ma i carabinieri l’hanno trovata parcheggiata lì, vicino a casa. 
Il ritrovamento delle prime parti del corpo del 71enne è avvenuto il 28 luglio e secondo i primi accertamenti medico legali il corpo sarebbe stato in acqua da almeno qualche giorno. È verosimile dunque, sulla base delle dichiarazioni dei parenti, che l’anziano sia stato ucciso e fatto a pezzi subito dopo che è stato visto uscire di casa. L’altra certezza degli investigatori è che l’omicida si sia sbarazzato del corpo fatto a pezzi solo dopo la chiusa di Salvaterra, più a valle rispetto all’abitazione di Kurti, che dista meno di 100 metri dall’Adigetto. E qui ritorna un’altra coincidenza: Salvaterra era la frazione dove la famiglia albanese risiedeva prima dell’acquisto di quell’appartamento di via Ghirardini. Una tattica per depistare le indagini o un indizio che suggerisce di scavare nel passato della vittima?
 

Ultimo aggiornamento: 17:03 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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