Mantovani, 1 milione di bottiglie l'anno: «Siamo la sesta generazione, ora recuperiamo i distillati storici»

Lunedì 18 Luglio 2022 di Edoardo Pittalis
Ugo Mantovani con la moglie Gabriella e i figli Paolo e Anna

Quasi 200 anni fa Cesare Mantovani, figlio di contadini della parte ferrarese del Po, a Mirabello faceva liquori e infusi per la famiglia. Era così bravo che aprì una distilleria che c'è ancora. Oggi i Mantovani distillatori sono alla sesta generazione e tramandano gli stessi nomi: Cesare, Ugo, Paolo Col tempo si sono trasferiti dalla parte rodigina del Grande Fiume, a Pincara che adesso è un paese di mille abitanti, ma ne aveva più di tremila fino all'alluvione del 1951 che ha spopolato il Polesine. Pincara deve il suo nome all'uomo che nel Quattrocento controllava i lavori di bonifica per conto del Duca d'Este, dopo l'ennesima disastrosa rotta del Po.

Anche Mirabello ha una sua notorietà, più recente: Gianfranco Fini nel 1982 lo scelse per la prima festa Tricolore di quella che sarebbe diventata Alleanza Nazionale. A far trasferire la Mantovani dalla pianura emiliana a quella veneta è stato l'amore. Ugo, 77 anni, era compagno di scuola di Gabriella, 74 anni, che veniva da Fiesso Umbertiano.


Come è andata signora Gabriella?
«Eravamo nello stesso istituto per ragionieri di Ferrara. Ho detto subito: questo è l'uomo della mia vita'. Poi la cosa ha preso il sopravvento, ha voluto sposarmi il giorno in cui si erano sposati i suoi genitori e al compimento dei 24 anni. Avevamo già dato un'occhiata per espandere l'azienda, nel giro di due anni nel 1969 abbiamo trasferito tutto qua. Era cambiato particolarmente il modo di confezionare: prima per fare mille bottiglie ci volevano dieci giorni, poi un giorno, adesso basta meno di un'ora. Ci ha aiutati mio suocero, era uno spettacolo vederlo lavorare».


Perché la scelta di Pincara?
«Il Comune di Pincara aveva messo in vendita gli spazi dell'ex lazzaretto, sembrava che questa dovesse essere una succursale invece è diventata la sede principale. Gli anziani del posto dicono ancora andiamo al lazzaretto a prender la grappa. Nel frattempo, i numeri crescevano e abbiamo preso macchinari più moderni. Poi abbiamo avuto la fortuna di avere due figli con la passione per questo lavoro».


Alla guida della Mantovani oggi ci sono i fratelli Paolo e Anna, 51 e 48 anni. L'azienda produce un milione di bottiglie, oltre 160 tipologie di prodotti, moltissimi legati al territorio. Fatturato di 4 milioni di euro, una quindicina di dipendenti.
«Abbiamo clienti che sono nostri da più generazioni. Il mercato è nazionale, anche se a volte ci sembra di avere una Ferrari in garage. Le richieste dall'estero sono in forte aumento», dice Paolo.


Come si arriva al vertice della Mantovani?
«Siamo nati nel 1824, il nostro avo Cesare aveva le idee lunghe e hanno funzionato se siamo arrivati alla sesta generazione. Non ci siamo fermati nemmeno durante la seconda guerra mondiale perché la distilleria era occupata dal quartier generale tedesco ed era obbligata a produrre. Oggi c'è curiosità per le ricette di Cesare, abbiamo fatto esperienza e recupero di marchi storici di altre aziende, ci sembra quasi di essere dei restauratori di auto d'epoca. All'inizio la fama della Mantovani proveniva da un distillato del quale conserviamo la ricetta, l'Acquavite d'Anice. C'era un motivo storico legato al porto di Ancona dove arrivava l'ouzo greco. L'anice, invece, veniva dal Delta del Po. Quel prodotto veniva utilizzata anche per fare la birra con la nuvoletta, l'anice al contatto con la birra fredda faceva proprio l'effetto di una nuvoletta. Abbiamo ripreso l'anicione, anche di questo abbiamo ancora la ricetta originaria, e rosolio, anisetta, prugna. La riserva prugna è legata al Friuli soprattutto, al rito del resentin col caffè, da resentar, risciacquare la tazzina».


Lei quando è entrato in fabbrica?
«Le aziende pluricentenarie di solito sono aziende familiari e da noi sono passate di padre in figlio, ma nel mio caso c'è stato un passaggio generazionale da nonno a nipote: il papà si era ammalato e così io sono stato al fianco del nonno per imparare. Ho sempre lavorato e studiato contemporaneamente, mi sono laureato in Filosofia a Padova. Il senso della famiglia è quello che conta, quando assumiamo un dipendente per un periodo pranza con noi perché capisca in che ambiente è arrivato».


È appassionato di moto, che colleziona.
«Sono sempre stato appassionato di motociclette e il nonno mi portava nei vari circuiti. Lui aveva una grande passione per i cavalli, a me aveva regalato una cavalla chiamata Valchiria, a mia sorella Paola che aveva 10 anni una cavalla di nome Rossa. Quando è mancato avevo vent'anni: era un carattere forte, una grande generosità e un senso di leggerezza che non faceva pesare le situazioni. Diceva: Io vesto ogni mattina un matto, vuoi che vada a vedere anche quelli che mi circondano. Quanto alla moto era un po' un vizio di famiglia: il nonno materno ogni anno distruggeva un Ciao. Ho corso in gare competitive di motocross anche importanti, ma col tempo ha prevalso la responsabilità per l'azienda. Nella collezione ho una Yamaka, due Kawasaki, una Honda e altre moto storiche: una vecchia Guzzi, una Peugeout del '54 e un Aquilotto Bianchi del 1948».


Torniamo alla distilleria, come è cambiata la produzione negli anni?
«Ci aggiorniamo costantemente. Abbiamo appena registrato il Doppio Spirito, un distillato che non esisteva, una miscela di grappa invecchiata 12 anni e di un rum caraibico invecchiato 15. Ha richiesto un lavoro enorme di ricerca sulle ricette. Poi c'è la Grappa delle nebbie, un metodo di invecchiamento brevettato Mantovani: è la summa del Polesine, un territorio che ha la caratteristica della nebbia. Invecchiata all'aperto per subire le influenze climatiche del territorio. C'è un liquore del Polesine fatto principalmente di tarassaco, andiamo sulla liquirizia che per noi è una specie di passe-partout che porta la gente in azienda. Poi, il Nocino legato al territorio perché la provincia di Rovigo è in Italia quella col più alto numero di alberi di noce. Resiste una leggenda sulla notte di San Giovanni, il 24 giugno, quella che chiamano la notte delle streghe. Le vergini del paese raccoglievano i malli: noi mettiamo 39 malli di noce per litro, 13 era il numero delle streghe attorno all'albero. Produciamo anche per altre aziende che ci portano i loro prodotti, abbiamo appena finito la lavorazione delle ciliegie, siamo pronti per le giuggiole di Arquà Petrarca e le olive dei Colli».


Anna Mantovani si occupa degli aspetti culturali legati alla distilleria. La cultura è importante per far crescere un'azienda che produce liquori?
«In famiglia io sono quella che ascolta, ho preso da mio padre. Ci compensiamo molto con mio fratello. Amo leggere e scrivere più che parlare, per anni ho collaborato ai quotidiani locali. Promuovo eventi culturali: il raduno di auto storiche e quello nazionale del Vespa Club; concerti, serate musicali e i brindisi in lirica. La festa di primavera richiama duemila persone in un pomeriggio, con figuranti in costume, giochi antichi, falconieri. A novembre facciamo la castagnata che apre la stagione natalizia. C'è anche un turismo nuovo che porta ogni giorno molte persone, qui passa la ciclabile che unisce l'Adige al Po».


E il museo?
«È nato 18 anni fa, abbiamo voluto non disperdere la storia, il nome della raccolta è infatti il futuro della memoria. Insegniamo come si distingue un prodotto, come si crea momento per momento, come leggere una ricetta. Ci sono antiche bottiglie, etichette, gadget, alambicchi, bicchieri. Ci vengono studenti, appassionati, assaggiatori, abbiamo 10 mila visitatori l'anno, dieci volte la popolazione del paese. Questa è l'anima del Polesine, quella meno conosciuta: non vogliamo essere ricordati soltanto per l'alluvione del 1951, per la nebbia e per le zanzare».

 

Ultimo aggiornamento: 19 Luglio, 10:45 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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