Neonato abbandonato, i soccorritori: «Ci ha stretto il dito, voleva vivere»

Giovedì 25 Aprile 2019
Neonato abbandonato, i soccorritori: «Ci ha stretto il dito, voleva vivere»
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ROSOLINA (ROVIGO) - «L’avevo in braccio e piangeva, l’ho accarezzato sul visino e lui mi ha preso il dito con la bocca, segno che aveva fame. Per tutto il viaggio fino all’ospedale mi ha succhiato il dito mentre lo stringevo a me».
Un racconto carico di emozione quello di Giorgia Cavallaro, infermiera della Casa di Cura di Porto Viro che faceva parte, insieme al medico Anna Tarabini ed all’autista soccorritore Marco Marangon, dell’equipaggio dell’ambulanza accorsa al cimitero di Rosolina, che per prima ha stretto al petto il piccolo abbandonato subito dopo la nascita.
 
E che, proprio in omaggio a lei, prima figura che l’ha accolto con amore quasi materno, è stato chiamato Giorgio.
Giorgia, 35 anni, di San Martino di Venezze, racconta con trasporto quei minuti scorsi via frenetici, nei quali paura e gioia, tristezza e felicità si sono mescolati ed accavallati: «Quando siamo partiti in ambulanza, ci era stato detto che era stato trovato un neonato morto. Quel viaggio d’andata è stato carico di angoscia. Che poi si è trasformata in emozione, quando siamo arrivati ed abbiamo sentito il vagito, segno che il piccolo era vivo». Vivo e vitale. «L’indice di Apgar era al massimo: la sua voglia di vivere è stata più forte di tutto», sottolinea la dottoressa Tarabini, che ha eseguito i primi accertamenti sul piccolo. L’indice di Apgar, infatti, è un test che valuta una serie di parametri, dalla respirazione al battito cardiaco, passando per i riflessi ed il tono muscolare che permettono di valutare la salute di un neonato e, appunto, la sua vitalità.
«Quando siamo arrivati – è il racconto dei soccorritori – c’era la signora che lo aveva scoperto che era ancora molto spaventata. Erano stati i carabinieri ad aprire la borsa, che era appoggiata al muro del cimitero, vicino alla fontanella. Se la temperatura non fosse stata mite sarebbe probabilmente morto».
Il pianto del piccolo è stato un suono di gioia, l’immediato riscontro del fatto che il neonato fosse vivo: «Quando abbiamo aperto il portellone e siamo scese abbiamo sentito i vagiti - spiega la dottoressa Tarabini – abbiamo fatto una corsa. Il piccolo era in mezzo alla placenta, lo abbiamo raccolto dalla borsa ed asciugato, gli abbiamo reciso il cordone ombelicale, poi lo abbiamo messo in un telo sterile perché il pericolo di infezioni è altissimo. Ancora di più quello dell’ipotermia. Infatti il piccolino aveva le estremità fredde e cianotiche. Dopo averlo avvolto in una coperta termica l’ho appoggiato sul petto di Giorgia, perché lo scaldasse».
Per la giovane infermiera, un’emozione fortissima che fa vibrare la sua voce nel raccontare il tragitto verso l’ospedale di Adria. E un aspetto tutto sommato consueto come quello di un neonato che si avvicina a un dito e prova a succhiare, alla ricerca del latte materno, si trasforma in un momento dalla potenza enorme: «Lui voleva vivere e ce l’ha fatta».
F.Cam.
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Ultimo aggiornamento: 26 Aprile, 09:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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