Da attore a regista, la sfida di Battiston: «Una fiaba che parla di riscatto e di rispetto»

Martedì 24 Gennaio 2023 di Sofia Teresa Bisi
Giuseppe Battiston

VENEZIA  - Parla di amicizia, resilienza, educazione. È il film Io vivo altrove! di Giuseppe Battiston in tournèe di presentazione a Nordest in questi giorni. Prima a Udine, domenica scorsa a Mestre, sabato prossimo, 28 gennaio,  al cinema teatro Duomo di Rovigo alle 20.45.

Con questo lavoro, in tutte le sale italiane dal 19 gennaio, Battiston è per la prima volta nella veste di regista, oltre che tra i protagonisti.

Come è nata l'idea di questo lavoro?
«Ho scritto la sceneggiatura assieme a Marco Pettenello traendo ispirazione da Bouvard e Pécuchet, un libro di Flaubert che ho letto molto tempo fa e che mi è piaciuto per alcuni valori. Abbiamo preso da qui l'idea dei due protagonisti, Biasutti e Perbellini, due individui che hanno in comune la solitudine ma che vivono una storia di cambiamento perché sono votati alla positività, alla fiducia nella ricerca di una condizione migliore. Ne è nata una fiaba quasi bucolica che tratta di riscatto, di grandissimo rispetto reciproco. Nel film c'è anche un tratto ironico, che però non vuole mai indugiare sul giudizio né sull'amarezza».

Come si sviluppa la vicenda?
«Io interpreto Biasutti, mentre Rolando Ravello veste i panni di Perbellini: i due si conoscono per caso a un incontro per appassionati di fotografia. Sono due uomini di mezza età con lo stesso nome, Fausto. Perbellini è ancora succube della madre, Ida Marinelli, mentre Biasutti è un bibliotecario che vive di ricordi. I due scoprono presto di essere stufi delle proprie vite in città e iniziano a coltivare il sogno di trasferirsi in campagna. Sogno che sembra concretizzarsi quando Biasutti riceve in eredità la vecchia casa della nonna, in un piccolo paesino nelle campagne friulane. I due lasciano il lavoro e la città e si trasferiscono, convinti che vivranno del frutto delle proprie fatiche. All'arrivo, però, non tardano ad accorgersi che la situazione è complessa e i problemi non tardano a presentarsi».

Un tema quanto mai attuale.
«Vero, i due protagonisti non vengono messi alla berlina per la loro vacua erudizione come quelli del testo di Flaubert, anzi sono due combattenti, motivati a raggiungere il proprio miglioramento, una seconda opportunità. Biasutti è una sorta di Don Chisciotte contemporaneo, che sa cogliere la negatività che lo circonda senza cedervi. Entrambi sono uomini genuini; lasciano l'ambiente grigio della città, un mondo triste, senza valori, in cui non sanno riconoscersi, per cercare un nuovo inizio in un paesino del nordest; vogliono basarsi sulle relazioni autentiche, sul rispetto e sull'educazione, elementi spesso desueti ma che rappresentano un'urgenza sociale oggi».

Perché avete scelto un paese dal nome di fantasia?
«La ricerca di Biasutti e Perbellini si ferma a Valvana, una frazione montana del Friuli: è un territorio cui sono molto affezionato ma nel film è un luogo idealizzato, che non ha caratteri riconoscibili. Ci sono personaggi forti, talvolta quasi taglienti, che rappresentano bene la gente associata a quei luoghi. La produzione è stata ricevuta con affetto e generosità, tutti gli abitanti si sono attivati per l'accoglienza. Anche il Polesine mi piace molto: sono stato in zona per girare alcuni film e sono stato in alcune occasioni ospite al teatro Sociale. Mi fa davvero piacere l'affetto del pubblico, che spero di ricambiare incontrando i rodigini».

È difficile dirigere e recitare assieme?
«È davvero complicato, ma ne sono fiero. Ho lavorato davvero bene per questa produzione assieme a Rolando Ravello, Teco Celio, Diane Fleri, Ariella Reggio e Alfonso Santagata; stare sul set e contemporaneamente avere la responsabilità per circa 50 persone è però un impegno gravoso: credo che in futuro, se dovessi dirigere ancora, sceglierei per me parti minori. Sono arrivato alla regia un po' alla volta e ho l'onore di avere lavorato in passato vicino a talenti che mi hanno insegnato tanto, in modo particolare Carlo Mazzacurati, Silvio Soldini e Gianni Zanesi. La loro capacità creativa e il loro linguaggio originale mi hanno stimolato a creare una poetica personale che non ricalchi le orme di nessuno, anche se mi auguro di avere colto un po' della loro forza espressiva».

 

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