Covid. I 29 giorni di Cristian attaccato al ventilatore: «Avevo paura di morire»

Lunedì 21 Dicembre 2020 di Ilaria Bellucco
L'infermiere Cristian Boccato durante il ricovero in Terapia Intensiva

LA STORIA - «Ventinove giorni in terapia semintensiva con ventilazione meccanica e la paura di morire per Covid-19, ora grazie al personale del San Luca sto meglio e passo in area medica». Cristian Boccato, giovane infermiere che vive nel Basso Polesine, racconta il mese da incubo che ha trascorso per far capire a tutti la realtà di un virus infimo, silente e bastardo, smascherandone la vera portata.
INFERMIERE
Il Coronavirus ha fatto irruzione nella vita del ragazzo in un momento felicissimo della sua vita personale e lavorativa: con a fianco la fidanzata Erica Bovolenta, che chiama “il mio angelo”, a metà novembre avrebbe dovuto iniziare il suo nuovo lavoro come coordinatore infermieristico nella nuova Rsa di Rosolina, dopo i dieci anni trascorsi nell’ospedale di Porto Viro. Ma risulta positivo al tampone. «Tempo 4 giorni e peggioro: tanta tosse, febbre alta, comincio a desaturare – racconta - Di notte Erica si accorge che mentre dormo respiro male, mi controlla la saturazione ed è inferiore all’80 per cento, così mi sveglia e chiamiamo il 118. Si va all’ospedale Covid di Trecenta per eseguire una tac urgente, l’esito è polmonite bilaterale interstiziale a “vetro smerigliato”. Non riuscivo a respirare, ogni colpo di tosse era come una pugnalata e mi mancava l’aria».
TERAPIA SUBINTENSIVA
In quei momenti Cristian affronta la paura di non rivedere più le persone amate, convinto che sarebbe stata necessaria l’intubazione in terapia intensiva. Invece è stato il reparto di terapia subintensiva ad accoglierlo. Lì il pneumologo Federico Bellini lo ha rassicurato e gli ha prospettato manovre e terapie impegnative per poter stare meglio. «Mi stringe forte la mano, pur indossando quattro paia di guanti, e mi dice che ce la farò – prosegue Cristian – Ho paura, ma cerco di stare calmo». Poi inizia la ventilazione meccanica con una maschera e Cristian, che solo cinque mesi prima era “in trincea” come volontario Covid, nonostante le rassicurazioni della collega Cosetta pensa al peggio. Con la febbre alta, la testa che sembra scoppiare e la maschera che copre tre quarti del viso, il letto gli sembrava un inferno ed era difficile mantenere la posizione. La paura di morire lo assale soprattutto la notte, quando sente gli allarmi dei monitor nelle stanze vicine, le urgenze e gli interventi su persone giovani come un 48enne che aveva conosciuto, intubato.
IL PENSIERO DEL PEGGIO
«Mi immedesimo e temo il peggio, poi cerco di elaborare e stare su di morale, comincio a pensare di arrivare in cima alla montagna». A confortarlo, oltre alla fede, sono stati il sostegno di Erica e dei suoi cari. Dopo quasi un mese, l’infermiere è uscito dalla terapia semintensiva Covid e ora è passato nell’area medica del San Luca esprimendo gratitudine per il personale che l’ha curato. «Me ne vado più ricco - scrive sul suo profilo Facebook - Grazie per avermi ricordato anche il motivo per cui ho scelto la mia meravigliosa professione. Non è del tutto finita, oggi verrò trasferito nel reparto di medicina Covid, ma per me ora è solo una passeggiata».
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Ultimo aggiornamento: 09:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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